Solitamente, alla fine dell’anno ripercorriamo le tappe più importanti dei mesi passati e guardiamo ciò che è successo valutando le cose positive e quelle negative. Non ci fermiamo qui: spesso, facciamo anche dei buoni propositi per l’anno che sta per iniziare con la speranza di migliorarci sempre di più. Ma cosa succederebbe se provassimo a fare questo resoconto non solo sulle nostre vite ma anche sulla crisi climatica?
E’ difficile fare un bilancio dell’anno appena passato che ci ha ricordato, per l’ennesima volta, che la crisi climatica è un fenomeno complesso e caratterizzato da una velocità e da una rapidità che ci rendono spesso disorientati. Iniziamo da un dato certo che è tutto fuorché confortante: il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato sulla superficie terrestre da quando le temperature vengono monitorate con regolarità (ovvero dalla metà dell’Ottocento).
Durante l’anno appena concluso, la temperatura media globale è stata pari a 14,98 gradi centigradi: ben 0,17 in più rispetto al precedente record, che era stato stabilito nel 2016. Si tratta di ben 1,48
gradi in più rispetto ai livelli pre-industriali. Sappiamo bene che l’obiettivo principale della Conferenza delle Parti di Parigi del 2015 era quello di limitare il più possibile il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto al livello preindustriale. Siamo spaventosamente vicini a questo limite.
Secondo le previsioni del Met Office, il servizio meteorologico del Regno Unito, nel 2024 c’è un’altissima probabilità di oltrepassare questa pericolosa barriera. Secondo l’IPCC (il Gruppo Intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico), superando gli 1,5 °C si passerebbe dalla crisi climatica alla catastrofe climatica. Lo stesso IPCC ad Aprile del 2023 aveva pubblicato il sesto studio di valutazione sul cambiamento climatico e lo aveva sintetizzato in 3 parole principali: gravità, urgenza, speranza.
Sulle prime due non c’è bisogno di dilungarsi, ma perché, invece, ci dovrebbe essere speranza davanti a questo quadro catastrofico davanti al quale siamo posti e del quale siamo complici?
Se pensiamo anche solo all’Italia, durante quest’anno ci sono stati mediamente oltre 9 eventi estremi al giorno, tra grandinate, nubifragi, trombe d’aria, ondate di calore, siccità e tempeste di vento anomale. Ma soprattutto, come possiamo rimanere speranzosi dopo il grande fallimento della COP 28 di Dubai, che si è conclusa lo scorso 13 dicembre promulgando un documento – il “Global Stocktake”- fatto di tanti compromessi e senza alcuna proposta sostanziale?
Non vorrei, però, che le mie parole avessero solo un gusto amaro; vorrei che provassimo a iniziare questo nuovo anno con un po’ di speranza e qualche buon proposito; infatti, per quanto siamo sopraffatti da notizie negative, durante l’anno appena concluso sono successi anche avvenimenti positivi.
Ad esempio, ci sono due notizie positive riguardanti la Foresta Amazzonica: in Brasile la deforestazione si è ridotta del 66% rispetto al 2022, mentre nel mese di agosto la popolazione ecuadoregna è riuscita con un referendum a fermare le estrazioni di petrolio nel Parco Nazionale Yasunì, che è uno degli epicentri mondiali della biodiversità. Ci sono state anche alcune vittorie legislative: ad esempio, il Parlamento Europeo ha promulgato la Nature Restoration Law che ha l’obiettivo di ripristinare entro il 2030 il 20% delle aree terrestri e marine, per fermare la perdita di biodiversità nel continente.
Per concludere, se analizziamo i mesi trascorsi, le notizie negative per quanto riguarda la crisi climatica sono più numerose di quelle positive di cui però non dobbiamo mai dimenticarci affinché possano darci forza e speranza nel rivendicare la giustizia climatica.
Gaia Sironi
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