Un frate francescano ultraottantenne, su una strada tortuosa che stavamo percorrendo per portare l’Eucarestia negli angoli più lontani del Marocco, così mi ha descritto la chiesa cattolica in terra d’Islam:
“Sarebbe terribile se, qui, tutti fossimo sale. Un pacchetto di sale immangiabile! Dobbiamo essere grati di aver la possibilità di essere sale in una pietanza in cui esso manca. In un luogo in cui essere sale è indispensabile.”
Questa è la Chiesa cattolica marocchina: una Chiesa “magra” e “collaborativa”, in cui non importa l’ordine religioso a cui appartieni, ma ciò che conta è darsi una mano per “salare” e “illuminare” il luogo in cui ci si trova, come ospiti; una Chiesa ostinatamente in uscita, che tende agli altri e all’Altro; così tanto “periferica” che al lato della pastorale “ordinaria” si impone anche una pastorale “musulmana”; una Chiesa di frontiera, che abita appunto le frontiere dei migranti del sub-Sahara.
In questa terra che tanto mi è cara, sono tornato dopo qualche anno per tenere alcune conferenze con Georgetown University (Città di Washington, Stati Uniti) e alcune realtà religiose del Marocco.
È stato fruttuoso poter discutere con rappresentati religiosi musulmani, professori ebrei (di origine marocchina e non!) e pastori evangelici, di “solidarietà”, un concetto che mi piace presentare sempre partendo dalla sua etimologia:
“Per chi si domandasse se ci può essere un legame fra geometria e sentimenti umani, voilà. La solidarietà è il sostegno reciproco, al modo in cui ogni parte di un solido è retta e tenuta salda da tutte le altre: nessuna si ritrova sola nel vuoto. La solidarietà è quindi la compattezza del corpo sociale, il suo essere massiccio – e ci spiega che la forza di un corpo sta nella sua coesione. Coesione che si esprime innanzitutto nella mutua assistenza, in una fratellanza che scaturisce dalla coscienza di far parte di un uno. Quando non ci curiamo di qualcuno che sta male o è in difficoltà – capita -, ecco che nel solido si apre una crepa: una sola, una crepa da nulla. Ma di crepa in crepa il corpo si indebolisce, le fenditure si allargano fino a renderlo fragilissimo, incoerente – che perde pezzi, fra i quali ci siamo anche noi.”
Quando ho letto per la prima volta questo paragrafo, ho pensato: “molto islamico”. La solidarietà, almeno in questa accezione, è giustezza di un solido, giustizia, compattezza sociale, coesione, fratellanza, sentirsi parte di un Uno (tawḥīd). Un’idea di solidarietà che trova la sua più alta espressione nell’arte islamica.
Dalla geometria islamica, infatti, emerge una visione del mondo determinata dall’idea di ordine, di equilibrio, di rigore e di giusta misura. Si tratta della nozione musulmana, sia teologica che mistica, di un universo interamente concepito e organizzato dall’Intelligenza divina, in cui è necessario coltivare la solidarietà fraterna e il ricordo di Dio, condannando il materialismo e l’eccessivo individualismo.
Anche Papa Francesco ha parlato di “solidarietà geometrica” nella Fratelli Tutti, documento che ho presentato e discusso – come richiesto d’altronde dal Papa – in terra d’Islam.
In una nota a piè di pagina dell’Enciclica [n. 88], il Pontefice parla proprio della “solidità della solidarietà”, evocando poi in vari paragrafi una figura geometrica che gli sta molto a cuore, quella del poliedro.
Il poliedro (FT 144, 145, 190, 215) è un solido composto da tante facce diverse e variegate. Non è perfetto quanto la sfera, ma riflette la situazione reale e attuale di questo mondo, l’inevitabile pluralità di vite, culture, società, realtà locali e globali in cui viviamo. Il poliedro è l’integrazione, la convivenza in una singola unità di diverse parzialità, diversità e differenze che si rispettano nel loro valore (FT 78) e che mantengono la loro originalità: nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla prevale, nulla è inutile e nessuno è sacrificabile (FT 215). Ogni “parte”, “lato” o “faccia” del poliedro illumina, completa e arricchisce l’altra. Il poliedro è uno, una sola fraternità, un’unità unica e, al contempo, un’unità variegata. Il poliedro mostra che “il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma” (FT 145).
Insieme ai fratelli musulmani, un po’ come avrà fatto Francesco con il sultano Malik al-Kāmil otto secoli fa, oppure come ha fatto Francesco con Aḥmad (al-Tayyib, grande imam di al-Azhar), qualche anno fa, abbiamo discusso di queste nostre solidarietà geometriche, di come si possano incastrare, di quale poliedro possiamo essere noi gli autori o per lo meno i “riflettori”.
Poi ci siamo rilassati passeggiando per il mausoleo di Hasan II a Rabat e, contemplando la perfetta geometria islamica dei motivi decorativi (qui in foto), probabilmente ognuno di noi ha pregato di arrivare, un giorno, a sentirsi parte di un Disegno così armonico.
RP
No comments yet. Be the first one to leave a thought.