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Come togliere il cibo dal mercato

Come togliere il cibo dal mercato

Oggi voglio usare questo spazio dedicato ai temi della Laudato Si’ per parlarvi di un modello interessante che stiamo sperimentando da qualche anno: si parlerà di cibo, di produzione alimentare, di agroecologia… ma anche di tanto altro. Da diversi anni Comunità Pachamama fa parte di una CSA: Comunità di Supporto all’Agricoltura.

Cosa vuol dire CSA?
Le Comunità di Supporto all’Agricoltura esistono da alcuni anni in quasi tutta Europa, almeno dalla Dichiarazione di Ostrava del 2016 che ha formalizzato il concetto di Community Supported Agricolture: si tratta di “partenariati diretti basati sulle relazioni tra più persone e uno o più produttori agricoli, che condividono i rischi, le responsabilità e i benefici dell’agricoltura sottoscrivendo un accordo a lungo termine”.

In Europa si stima (dati da Urgenci, European CSA Research Group) che circa mezzo milione di persone (un europeo su mille) mangiano dalle CSA, in Italia circa 23.000. I principi cardine sono quindi l’agroecologia, intesa come il ripensamento del sistema di produzione alimentare verso un modello
integrato con le necessità della biodiversità; la sovranità alimentare, che non è stata inventata il governo Meloni ma nasce dall’esperienza della “Via Campesina” come concetto alternativo a quello di “sicurezza alimentare”, e che esprime il diritto dei popoli ad un cibo che sia in armonia con il proprio ambiente culturale naturale e sociale; infine l’economia solidale, nel senso del mutuo aiuto, della cooperazione e della comunità.

Alcune CSA sono piccolissime come la nostra (una trentina di famiglie), e riescono a condividere solo frutta e verdura, altre contano migliaia di aderenti e includono produttori di quasi tutto ciò che siamo abituati a mangiare.

Ma come funziona una CSA? E che cos’ha di diverso da un gruppo di acquisto solidale o dalle tante altre modalità con cui ci si può procurare del cibo buono, pulito e giusto?

Innanzitutto ci tengo a dire che non è “meglio” di tutti gli altri modelli (Dio ci scampi dal “migliorismo”), e che non la pratichiamo e raccontiamo in contrapposizione. Semplicemente, la cosa interessante della CSA è, come dice il titolo, che punta anche a “togliere il cibo dal mercato”, a de-mercificarlo, a restituirgli una dimensione di BENE COMUNE. Come?
Smettendo di “acquistare” il prodotto-cibo una volta che è pronto finito e impacchettato, ma compartecipando alla sua produzione e condividendolo equamente tra tutti.

Nella pratica, non significa che tutti devono materialmente chinare la schiena sotto il sole nell’orto, o districarsi nel cambiare i telai degli alveari, o mungere le mucche e così via… ma che “qualcuno” all’interno della CSA si occuperà di farlo, e tutti gli altri potranno dargli una mano volontariamente nel modo in cui possono, dall’aiuto agricolo alla preparazione delle cassette con i prodotti, alla distribuzione, al tenere i conti… e soprattutto, mettendoci IN ANTICIPO i soldi necessari alla produzione e allo stipendio dei contadini.

In questo modo è “la comunità” che si produce il suo cibo, e tutta insieme affronta la responsabilità e il rischio di farlo, recuperando anche un legame più profondo con la propria terra, in virtù del fatto che l’orizzonte di lungo termine costringe a stare molto attenti alla biodiversità, all’equilibrio ecologico, alla conservazione dei semi… a produrre oggi per poter produrre anche domani e dopodomani, in armonia con i cicli della natura.

Significa anche accorgersi che non tutto il cibo è “fattibile” in Valle Olona, per le caratteristiche del clima locale, e che è importante imparare a conservare le sovrapproduzioni con ingegno culinario e abituarsi a mangiare gustosissime varietà misteriose che fino a poco tempo prima avresti chiamato “erbacce”.

Indubbiamente l’effetto più interessante è che ci si guadagna un senso di liberazione profondo: mangiare (almeno alcune cose, nel nostro caso) non è più un atto individuale, prodotto dal mio potere di acquisto da consumatore (al massimo da famiglia di consumatori), ma un dono miracoloso della vita (perché ci poteva pure grandinare su quella zucchina) e della cooperazione tra persone che si vogliono bene.

Giovanni (Comunità Pachamama)

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