Ciao a tutti. Dopo 8 mesi di lavoro e missione in Mozambico condivido alcune riflessioni con voi.
Partire in missione non è un’avventura coraggiosa ed esotica, non è una fuga da qualcosa o da se stessi. E’ attraversare la “porta stretta”. E’ mettersi in cammino come Abramo, i Re Magi, San Daniele Comboni. E’ uscire da se stessi. E questo lo possiamo fare anche dove viviamo abitualmente, non c’è bisogno di andare in Africa. Guardatevi intorno. Vi invito a guardare chi avete vicino.
Siamo persone, ma molto chiusi in noi stessi, nel nostro individualismo e superficialità, non sappiamo più nulla dell’altro, siamo preoccupati del nostro e sempre sulla difensiva. Dopo il Covid siamo diventati anche peggio, c’è molta rabbia e solitudine. Sappiamo uscire da noi stessi per incontrare davvero l’altro?
Essere missionari oggi non vuol dire fare il banchetto nell’ottobre missionário, non è solo raccogliere soldi, cibo, vestiti per i più bisognosi, non è evangelizzare nel senso di convertire, ma è avere una bella notizia da dire: il vangelo della vita!! E’ camminare insieme ai fratelli e sorelle, nel rispetto della diversità, del loro passo, è mettersi al servizio dei più bisognosi, è fare comunione.
Abbiamo ancora qualcosa di bello da trasmettere agli altri?
Vivere in missione è più naturale (sveglia alle 4.30 col chiaro, riposo nelle ore più torride con 38°, stop forzato per il ciclone-di questo vi parlerò dopo). In Africa si vive in modo più lento e sóbrio, non si spreca, si aggiusta, si ricicla e si condivide, si ha più spazio e tempo per stare con se stessi e con le persone.
La vera sfida non è rimanere senza acqua e energia, senza cibo di riserva, perchè non c’è il congelatore, senza auto. Il vero impegno (ed è quello che insegno ai miei figli) è tornare in Italia e vivere tenendo nella mente e nel cuore le situazioni e le persone che vivono qui. Siamo consapevoli che ogni nostra scelta (dove e come facciamo la spesa, cosa guardiamo alla TV o sui social, di cosa parliamo com amici e colleghi..) si riflette anche qui?
Questo è passare dalla porta stretta. Stretta, ma spalancata sul mondo.
“La notte dell’11 marzo si è abbattuto sulle coste del Mozambico il ciclone Freddy, uno dei più duraturi della storia, a più riprese, seminando distruzione e morte fino all’interno, in Malawi”. Sembra l’inizio di un libro o di un film, ma è accaduto davvero. Adesso sono a Quelimane, il capoluogo della Zambesia, la città più colpita. E’ irriconoscibile. Era verde, con molti alberi di acacia e manghi, fiori nei giardini, il fiume Bom Sinais che si colorava d’oro nei tramonti. Ora c’è un fango grigio che ricopre quasi tutto, alberi enormi divelti dalla forza del ciclone, pozze e laghi d’acqua melmosa che bloccano le strade e invadono le campagne.
La cosa che mi colpisce di più è l’odore. L’aria prima era pulita e pregna di odori di vita: Quelimane è detta città delle biciclette perchè ci sono poche auto e la gente si muove a piedi o con i bici-taxi. Adesso c’è odore di pescegatto. Viscido e fangoso, rende bene l’idea. L’acqua del fiume è salmastra, si è mischiata alle forti piogge e alle deiscenza umane e animali. Ed è diventata invece che fonte di vita, portatrice di morte per il cólera, grave infezione intestinale che provoca diarrea e disidratazione.
Dopo i danni immediati della distruzione, adesso c’è l’emergenza del post ciclone: in città manca acqua potabile nei negozi e acqua corrente da 5 gg, l’energia va e viene, i prezzi del cibo e dei beni di consumo hanno subìto un aumento importante. Ed ecco che si sono materializzate tutte le agenzie umanitarie più famose (WHO, UN, MSF, UNICEF..): sono arrivati in massa i superspecialisti e consulenti da stipendi favolosi, si sono rinchiusi negli alberghi (con acqua corrente ed energia) e hanno iniziato a decidere dove e come spendere i soldi. Stanno ancora lavorando, sicuramente c’è bisogno di tutto il supporto finanziario e di pianificazione, c’è ancora molta confusione, c’è una fragilità di sistema di base.
Io non ci capisco molto, so solo che vorrei fare anche qui la mia parte. Il mio progetto concretamente si fermerà perchè non è più una priorità, ma sarò impegnata nell’assicurare la continuità delle cure. Quello che vedo è l’impegno e la forza dei colleghi mozambicani che cercano di portare avanti i servizi sanitari di base, e la resilienza della gente normale che si mette in coda per ore per riempire una tanica di acqua o collabora con il macete a sfrondare gli alberi caduti. Sento tutta la sofferenza ma anche la buona volontà di andare avanti.
Anche questo è passare dalla porta stretta, senza luce (ieri sera nuovo black out di alcune ore), ma spalancata sul cielo meraviglioso di stelle.
1 abraço, Maura.
(medico missionaria in Mozambico con CUAMM)
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