Humilitas, umiltà. Si trova pure nello stemma di san Carlo Borromeo, uno dei vescovi patroni della diocesi ambrosiana.
È una virtù che non credo di avere, quando il Buon Dio la elargiva, ero assente…Battute a parte, è difficile essere umile per me.
E non mi riferisco alla falsa umiltà, quella per cui si dice di non meritarsi le cose, di non essere bravo a, che “non arriverò mai a…”, buttandosi “a terra”. No, quello è piangersi addosso e non fa bene a nessuno: in quello sono quasi brava!
L’altra faccia della medaglia è, all’opposto, criticare gli altri per il loro modo di fare/non fare, pensare di fare meglio perché le cose per bene si fanno così e così, ambire a posti importanti, pensare “impossibile che questo capiti solo agli altri e non a me che sono brava”…etc.
Umiltà, per davvero però, ha a che fare con la terra. Siamo impastati di terra, siamo “argilla plasmati dalle sue mani”(cfr. Isaia 64,7). In ebraico si direbbe “adam”, siamo umanità, tratta dal suolo, perché su questa terra siamo chiamati a vivere e siamo stati posti in un mondo bello, un giardino “paradiso”, per coltivarlo e custodirlo.
In questo momento (e spesso) invidio chi ha il pollice verde e chi lavora nei campi (in effetti no, non farei a cambio con il mio lavoro), perché imparano e conoscono dalla loro fatica a riconoscere la terra buona, quali sono le condizioni migliori per ciascun prodotto o albero, a rispettare i tempi dei semi, ad affidarsi e lavorare per un buon raccolto, prendersi cura e spendersi se si vuole ottenere qualcosa…
Lo stesso “lavoro”, ciascuno –io per prima- dovrebbe imparare a farlo su di sé: riconoscere le proprie buone qualità, capire dove non funzioniamo, preparare le condizioni concrete intorno a noi per dare buon frutto, allenarsi nelle pratiche che giovano a crescere bene.
Ritrovo la stessa fatica soprattutto nei miei studenti adolescenti, alla ricerca di se stessi, che si buttano nelle più svariate esperienze per testare i propri limiti, che si sentono a dura prova con l’autostima, desiderosi di essere riconosciuti e accettati per quello che sono o non sono, perché non sono geni a scuola, perché combinano di tutti i colori, perché fanno “disperare” i genitori…eppure hanno tante belle qualità e sono in gamba, ma forse il contesto intorno a loro non li aiuta a vedere ciò che conta davvero, gli aspetti reali e negativi dell’esistenza.
La vera umiltà, credo, consiste proprio nel fare esperienza del vero se stessi, nello scoprire la propria identità. Riconoscersi creature, uomini e donne con capacità e limiti, fragilità e potenzialità.
Anche io, ogni tanto, come gli adolescenti, cado nel pensiero inconscio di essere “onnipotente”, di pensare che “volere è potere”, di “arrivare dappertutto”, essere indispensabile.
Questi recenti giorni di malattia da reclusa mi hanno ridestato la vera consapevolezza che nessuno è insostituibile, ciascuno ha il proprio carisma, ma deve essere libero di esprimerlo, che non è sbagliato chiedere aiuto e affidarsi, quando non ce la si fa o si ha bisogno, ma che è giusto e bello condividere i pesi anche quando tutto va bene e non si è in emergenza, (proprio per evitare di credersi i migliori e accentrare tutto su di sé), è bello riconoscere di essere circondati da persone in gamba e disponibili.
Anche Gesù sceglieva di farsi ospitare perché l’accoglienza, la fraternità, l’amicizia, la comunità umana sono un valore a prescindere, non solo quando c’è necessità.
Umiltà c’entra con tutto questo! È riconoscersi figli di Dio e fratelli-sorelle fra noi, è sapere di poter trovare il bello negli altri che ci camminano a fianco; che si impara vicendevolmente da ciascuno perché bravo in una cosa e non nell’altra; è scoprire la ricchezza del genere umano, delle conoscenze altrui, essere disposti a mettere in condivisione le proprie, nel coraggio di farsi dono e fare il primo passo. L’umile non si vanta schiacciando gli altri, ma non si sotterra credendo di essere il peggiore.
In questo periodo che manca a Natale, invece di buttarci sui DONI materiali e basta, riflettiamo sul mistero realizzatosi a Betlemme, culla di umanità e umiltà. Il Signore è sceso “a terra” per dare dignità ad ogni piccola vita umana, “abbassandosi” dall’alto della sua divinità, è diventato uno di noi per dirci quanto grande è il nostro valore, per rivelarci quanto il Padre ci ama per darci proprio Lui, il Suo unico Figlio, disposto a morire e finire sotto terra, ma per risalire al Cielo.
Pensiamo alla piccola porticina della basilica della Natività, che ci costringe ad abbassarci per entrare, facendoci sperimentare che solo chi è disposto a darsi la giusta misura può gioire nella vita di Dio, l’immensamente Buono.
Aggiorniamo la nostra “regola di vita”. Il compito che ci attende è riscoprire il bello che c’è in noi, il DONO che abbiamo ricevuto e imparare sempre a condividerlo: su un post-it scriviamo le nostre capacità e i nostri difetti, decidiamo quale mettere a servizio e quale migliorare/smussare. Chiediamo a Maria, lei Madre di Dio e piccola giovane donna, il dono dell’umiltà, di riconoscersi amati come figli unici e irripetibili, si proprio noi come lei siamo attesi e dono per l’umanità, di sapere riconoscere il Signore che viene, di accogliere l’Altro.
Qui sta la vera umiltà e la grandezza vera che possiamo vivere come virtù, come allenamento che diventa uno stile di vita e non un atteggiamento improvvisato o sporadico, solo nel bel periodo natalizio.
Stefè
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