La nostra seconda nipotina, Lavinia, è nata lo scorso 1 agosto e – come è facile immaginare – è stato questo, per noi nonni, un evento magico, desiderato nei mesi, aspettato fino all’ultimo con giusta trepidazione, carico di gioia e di ringraziamento, sempre dovuti davanti al dono di una nuova vita.
Tutto è andato fortunatamente per il meglio e la piccola dopo tre giorni è arrivata nella sua casa a riempire di dolcezza e di profumo, pur con la sua presenza davvero minuta, di dolcezza e di profumogli spazi sia del cuore che degli ambienti, per lei accuratamente preparati.
Tanti sono stati i momenti di emozione in questi giorni e fra essi credo sia particolarmente significativo il video che nostra nuora ha girato nella camera dell’ospedale pediatrico quando, per la prima volta, il fratellino Andrea Enea, accompagnato dal papà, si è avvicinato al lettino della neonata per incontrare e conoscere la sua sorellina.
Quelli filmati sono stati attimi memorabili dove curiosità, gioia, sorrisi, atteggiamenti, gesti e brevi parole si sono fusi in un “unicum” affettivo davvero meraviglioso nella sua assoluta genuinità e semplicità.
Gli sguardi attenti e dolci rivolti a Lavinia, i leggerissimi sfioramenti delle dita di Andrea Enea sulle manine della sorellina, le ingenue domande dirette al papà, la cura per la “pancia” della mamma, ovviamente ancora grossa, espressi con un “come mai? Non c’è più dentro Lavinia!” appartengono ad un’affettività tanto spontanea quanto autentica.
E poi il successivo amorevole bacino alla testolina della bimba, ma, al tempo stesso, la voglia, chiaramente manifestata, di “voler combattere a fianco di lei quando sarà più grande”, (credetemi, non poteva essere diversamente per lui, così innamorato del cartoons di Mulan, la principessa guerriera …), hanno emozionato noi tutti, ammirati, coinvolti e al tempo stesso meravigliati della sorprendente immediatezza con cui la sua piccola persona ha accolto questa nuova presenza nella sua vita e nella sua famiglia.
Davanti a ciò, ho desiderato riflettere un po’ su tali immagini perché ho sempre pensato che la questione del “senso” di ogni evento molto spesso non può che essere la questione dei sensi; cioè di come si percepisce con i sensi (vista, udito, tatto, gusto, olfatto) e di come si sa “gustare” una esperienza per come ci appare, per come si pone a noi quale fenomeno sensibile.
In fondo, credo, non si dà un “senso” senza i sensi!
E in questo i bimbi sono, per noi adulti, autentici maestri!
I piccoli, lo sappiamo bene, interagiscono con la realtà istintivamente, usando tanto l’immaginazione, dove questo termine dice ciò che Schelling aveva saggiamente intuito: immaginazione è facoltà estetica (estetica nell’accezione di esperienza dei sensi e non tanto di esperienza del bello, come è più comunemente intesa) che funge “da collegamento” tra l’esperienza sensibile e il senso intellegibile della stessa.
I piccoli “gustano” la realtà molto prima di concettualizzarla e così la “gustano” più autenticamente proprio perché la incontrano come essa si manifesta, senza operare nessun filtro al suo cospetto.
In altre parole la loro totale genuinità e trasparenza, assolutamente scevra da ogni pregiudizio, permette loro di immaginare, nel senso di “vedere” con gli occhi del sentimento, le situazioni, le cose senza alcuna mediazione, per come esse si pongono e si incontrano.
Tale immaginare permette loro un’apertura, per così dire magica, alla caleidoscopica meraviglia della realtà e fa emergere soprattutto tutto il bello che “vive” nel mondo, nelle cose, nella realtà.
Un approccio che dice il bene dell’essere e ne scopre la vitalità e la gioia.
Questo è fondamentale!
E’ un passo liberante che dà un respiro di gratitudine!
Tuttavia la successiva intelligibilità dei fatti chiede di affiancare al supporto dei sensi la chiarezza della coscienza matura.
Andrea Enea non poteva, così piccolo, conoscere la fatica e la difficoltà del passaggio fondamentale della esistenza che è il nascere.
Il patrimonio comune di moltissimi studi ci dice come il nascere sia un’esperienza unica per intensità e difficoltà di cui rimane, in qualche modo, traccia nella coscienza più intima di ognuno di noi.
Questo perché il passaggio dalla passività protetta della vita intrauterina all’esposizione totale alla complessità di un ambiente sconosciuto in cui vieni “gettato” rappresenta comunque un trauma.
Trauma che chiede da subito, per esempio, lo sforzo di respirare con i propri polmoni e poco dopo la necessità di attivarsi a succhiare per procurarsi il nutrimento: bastano questi due richiami per fare intuire quanto radicale cambiamento intercorra tra la gestazione e la nascita.
Ed è proprio in virtù di tale passaggio noi tutti facciamo esperienza dell’instaurarsi del senso del bisogno.
Proprio così: dall’attimo della nascita noi percepiamo progressivamente, in maniera sempre più conscia, che siamo necessitati a dover soddisfare dei bisogni primi sconosciuti, che ci vengono incontro e impellentemente ci coinvolgono.
Ci scopriamo necessitati, dapprima inconsciamente, a dipendere da qualcuno o da qualche cosa, pena la nostra sopravvivenza.
Tutto l’originario in cui ci eravamo placidamente e passivamente “cullati” è ormai tramontato ed inizia la sfida della separazione sia da ciò di cui avevamo goduto senza sforzo alcuno (la vita intrauterina), sia da ciò che sentiamo come altro da noi e cioè le persone e le cose che il mondo ci pone davanti.
Il bisogno, così creatosi, presenta una duplice valenza: da un lato impone che la vita a cui siamo stati chiamati vada comunque accettata nelle sue inevitabili difficoltà, dall’altro dice, che da ora in avanti, molto non dipende da noi, ma dipende dalle relazioni che altri instaureranno con noi (e a cui noi reciprocamente risponderemo…) per il nostro bene e la nostra cura.
La chimera dell’Io solo ordinatore e creatore del proprio futuro viene in buona sostanza messa in un angolo.
Passiamo di conseguenza dalla passività di quando “abitavamo” l’utero materno ad una nostra passività, per così dire “rispondente” o dialogante (cioè in grado di farci crescere come persone nel tempo) verso le relazioni che ci vengono incontro.
Ecco l’altro momento fondamentale dopo i “sensi” dei bimbi, cioè la costruzione del legame con l’altro con la piena coscienza che noi siamo quanto sappiamo essere aperti e riconoscenti all’altro che incontriamo.
In sintesi scopriamo il valore del legame con l’altro da noi, senza il quale non possiamo fare nulla.
Il primo saldo legame è chiaramente la propria mamma, ma, da subito, anche papà, fratelli e parenti giocano, a diversi gradi, un ruolo ineludibile nel creare legami precisi.
La chiave per la serenità di una vita che si apre al palcoscenico del mondo è perciò l’accoglienza che riceve e la tranquillità e disponibilità che sperimenta.
E’ questa una grande fortuna di cui ahimè tanti piccoli non godono per le enormi e tragiche difficoltà, in cui senza alcuna colpa, si imbattono fin dai primi attimi e che segnano indelebilmente le loro coscienze.
Ecco quindi che, invece, i primi gesti affettuosi di Andrea Enea verso Lavinia rappresentano già in una qualche misura, una forma di accoglienza “sentita” e “gustata” instaurando un primo decisivo contatto (nel senso di reciproco “percepirsi” fra fratelli con dolcezza, appunto come si dice “con tatto”).
E’ stato un primo momento fondamentale per la vita di entrambi; d’incanto si è costruito un primo ponte fra loro, starà a loro, in futuro, renderlo sempre più solido e performativo.
A conclusione di queste righe non posso non sottolineare, a beneficio di tutti, come il dono gratuito e non richiesto della vita, la nostra vita personale in cui dovremmo sentirci, giorno dopo giorno, chiamati ad esprimere la nostra singolarità lungi dall’essere esclusivamente frutto del nostro Io personale sia in verità forgiata dai legami che annodiamo e dalle relazioni che viviamo.
Nel piccolo quadretto di una camera d’ospedale pediatrico ciò è avvenuto, e ne siamo tutti grati! nonno Diego
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