Dopo i primi mesi di questo periodo ancora inedito, folle e pazzesco i cui giorni, a voler ben vedere, sono passati tutto sommato anche rapidamente tra lockdown, scuola chiusa fino alla fine dell’anno ed altre varie indicazioni e prove per ritornare ad una parvenza di vita vissuta, io e mia moglie decidiamo che per il bene delle nostre due figlie e della nonna si possano passare insieme due settimane al mare.
Se nel corso della vita, forse per molti, le vacanze sono sempre state “automatiche”, percepite come un qualcosa che fa parte del tempo, mai come quest’anno è chiaro fin da subito in tutti noi che queste sono invece dono per cui rendere grazie: non era infatti affatto scontato riuscire a vivere un periodo insieme!
I giorni scorrono sereni, ma una mattina mentre la nonna con le nipoti sta andando al mare si blocca per strada: il cuore inizia a battere un po’ più forte del solito, il respiro un po’ a mancare e “la macchina” si ferma e le chiede di prendere una sosta.
La nonna è una persona che, per sua indole, cerca di non pesare mai su nessuno, di arrangiarsi sempre un po’ da sola. Le nipoti pre-adolescenti, però, senza pensarci due volte chiamano il papà che lascia il pc su cui sta lavorando, prende l’auto e scende subito a recuperare tutte e tre per raggiungere la spiaggia.
Li per lì nessuna della famiglia si pone il problema, pensando che la stanchezza sia dovuta appunto ai mesi precedenti passati forzatamente e prudentemente in casa, e la vacanza prosegue senza ulteriori eventi particolari: io torno a casa e mia moglie mi dà il cambio a metà settimana.
I mesi estivi scorrono poi via con la speranza che il peggio sia passato.
Nel mio cuore, però, c’è qualcosa che mi inquieta: sebbene la situazione non sia la stessa, non riesco a focalizzare e a dare un nome a quella sensazione di “deja-vu” vissuta 20 anni prima con mio papà che è stato chiamato alla casa del Padre in pochi mesi a causa di una malattia che non ha lasciato scampo.
Ripreso il periodo consueto della scuola a settembre, da quando ci sono le nipotine a scuola, la nonna è solita prendere il treno ed andare a trovare tutti a metà settimana, fermandosi fino al giorni seguente. Questa normalità, per decisione di tutti, non può continuare vista la situazione di rischio. Il respiro è sempre più faticoso ogni giorno che passa e, complice anche la situazione, si decide che la nonna il treno non lo deve prendere più: sarò io o mia moglie ad andare a recuperarla in auto e a riportarla a casa, per lo meno fino a quando sarà possibile farlo.
Oltre a non voler pesare su nessuno, la nonna ha sempre rinviato, laddove ha potuto, ogni possibile visita medica; questa volta non è più possibile e quindi si riesce a convincerla a rivolgersi ad un dottore che certifica quanto era nell’aria e nel mio cuore: la vita sta presentando il conto di 50 anni di sigarette.
Nulla di definitivamente irrisolvibile al momento, ma la diagnosi obbliga immediatamente, in pieno periodo di pandemia, ancora una volta, un’ulteriore modifica delle abitudini di vita fin qui adottate. E ciò che è sempre stato lo stile della nonna “salta per aria”, perchè inevitabilmente tutto ora impatta sull’intera famiglia.
A metà ottobre, una notte, il respiro inizia a mancare e da lì la necessaria corsa al pronto soccorso.
Per grazia di Dio, la cosa non è cosi grave come sembra, ma viene certificata la necessità di avere la fornitura di ossigeno a casa; fumare una sigaretta non è come bere una bottiglia di veleno: è un processo subdolo perchè non si muore all’istante -nessuno infatti è così matto da bere del veleno- ma ti crea il bisogno giornaliero che annebbia anche qualsiasi tipo di raziocinio che si possa usare e che si dovrebbe avere.
E’ certo che, prima o poi, il “ristorante sigaretta leggera” presenti il conto; un conto molto salato ed una uscita la cui porta è in realtà chiusa e da cui non si può più uscire nè tornare indietro: in una parola sola, una trappola.
Dopo nemmeno un mese accade che, una domenica mattina, la nonna dopo aver preso una boccata d’aria in una di quelle ultime giornate di tepore -la chiamano l’estate di S.Martino- che la natura dona prima di piombare nel freddo dell’inverno, mentre si avvia a casa, senza accorgersi di nulla si trova per terra.
Riesce a tornare a casa, ha dolore alla spalla di quelli per cui il ghiaccio non fa nulla: il dolore è forte e richiede un intervento al pronto soccorso più vicino.
Per grazia di Dio, la sua vicina amica la accompagna prontamente. La sua vicina è rimasta vedova nello stesso suo anno e da allora si è rafforzata sempre più quel rapporto che prima era più fugace, in dipendenza anche dei ritmi di lavoro. Complice anche il periodo di pensione iniziato insieme, è di fatto un rapporto tra sorelle.
La diagnosi della caduta è incontrovertibile: la spalla è rotta completamente e necessita di un ricovero perchè da lì a poco è necessario operare per inserire una placca di metallo e delle viti di sostegno, in quanto la frattura è molto brutta.
La nonna viene messa in isolamento prima del ricovero che avviene solo a tampone fortunatamente rivelatosi negativo. Il brutto di questo periodo incredibile è che ha completamente ribaltato quello che era la precedente normalità: una degenza più lunga corredata forse da una cura maggiore, la possibilità di ricevere conforto dai parenti e dagli amici. Sembra invece che l’uomo sia fragile esattamente come un’automobile da riparare, lasciata sola in un garage in attesa che il primo meccanico la sistemi, ma soprattutto che il problema sia risolto in fretta, così che “possa arrivare un’altra vettura” e via così, come in una catena di montaggio.
Con un po’ di caparbietà di mia moglie, riusciamo a parlare per telefono con il dottore -anche i colloqui medici “di una volta” non sono più possibili- e di fatto, il giorno dopo l’operazione la nonna è pronta per essere dimessa.
I ritmi già stravolti della famiglia, richiedono un ulteriore cambio repentino. Preparo velocemente la mia valigia, chiedo al lavoro tutte le ferie ed i permessi disponibili e in una mezza mattina sono pronto a prendere la nonna in dimissione e a trasferirmi con lei, nella sua casa in cui ho vissuto dalla nascita fino a quando, giovane uomo, ho sposato mia moglie.
Sono figlio unico e non ho fratelli o sorelle con cui poter fare a turni. La nonna è praticamente impedita a fare tutto: iniziano forse -e in un attimo- i 14 giorni che mi rimarranno sicuramente scolpiti nel cuore, da qui fino alla fine.
Già, perchè ora inizia il tempo della restituzione gratuita che si concretizza nei piccoli gesti quotidiani alcuni dei quali, vissuti davvero con grande imbarazzo da parte mia: non è infatti facile chinarsi per lavare i piedi e soprattutto farlo alla propria mamma.
Non è la quotidianità normale passare tutto il giorno con lei, a discutere di un futuro che ora è difficile a vedersi non solo per questa caduta ma per i giorni che verranno, a commuoversi insieme. Talvolta piangiamo insieme e questo non era mai accaduto nella nostra vita.
Giorni che, se ricondotti alla mera visione umana, non hanno alcun senso se non quello del “dovere”; ma se invece vengono affidati e riconciliati a Colui che dona una sguardo diverso a tutto, si riempiono di molteplici significati non solo emotivi.
Quella nonna, quella mamma, che mai aveva chiesto nulla nel corso della vita, sta un po’ tornando bisognosa di quell’amore attento che solitamente è più naturale prestare ai bambini.
L’esperienza che sto vivendo è di una “santa gratitudine” che mi sta aprendo il cuore perchè da un fatto eccezionale, se riconciliato correttamente appunto, scaturisce nuova linfa e forza; è per lme assoluta certezza che la restituzione di quanto amore finora ricevuto, che spesso viene percepito per “scontato”, automatico, silenzioso, sia invece quanto più di bello e toccante possa sperimentare: la mia mamma ha bisogno, io ci sono, la mia famiglia mi sostiene, i miei amici mi sostengono e per me è tutto.
Tutto, perchè dentro quel tutto, c’è davvero tutto quello che si può chiedere per una vita di senso.
E’ commovente per me accorgermi anche di quanto buon seme sparso molto silenziosamente e senza roboanti annunci sul campo buono della vita, alla fine germoglia ed il raccolto è moltissimo. I piccoli gesti quotidiani e silenziosi della nonna sono la coltivazione quotidiana ed attenta di buoni rapporti con gli amici e le amiche preziose del condominio, che si prestano, ancora oggi, a riempire ogni necessità.
Il momento del raccolto non è nè garantito nè tantomeno automatico: richiede pazienza, fiducia, affidamento totale.
Necessaria, invece, è una vita costantemente tesa a seminare semi buoni nel campo buono. Tutto il resto è nelle mani di Dio.
1 comment
Fabio
27/03/2021 at 7:19 pmIl brano sulla Restituzione fa riflettere: gratitudine, una parola che per molti ha perso significato!! Ancor peggio quando qualcosa viene data per scontata, soprattutto in questa vita sociale sempre più frenetica! E invece no, è giusto riconoscere il valore e il merito, anche attraverso piccoli gesti, soprattutto nel momento del bisogno, delle persone che amiamo e che rispettiamo! Dio ama l’uomo, ci ha mandato su questa terra e prima o poi torneremo a Lui…possibilmente senza rimpianti, certi di aver fatto e dato il nostro contributo terreno.