Si chiamano “Cantieri della Solidarietà” e sono un’esperienza proposta da Caritas Ambrosiana che offre la possibilità a giovani fino dai 30 anni di vivere un periodo di volontariato in alcuni paesi del mondo.
Io l’ho vissuto prima del 2016 in Moldova e poi nell’agosto 2019 in Serbia, in alcuni dei campi profughi collocati lungo la rotta balcanica. Siamo partiti da Milano in cinque giovani e là, ad aspettarci c’erano Silvia, la coordinatrice di Ipsia, organizzazione che collabora con Caritas Ambrosiana, ed Eleonora, una volontaria in servizio civile che viveva in Serbia da circa un anno.
I campi profughi dove io e il mio gruppo abbiamo operato erano due: il campo profughi di Sid, rivolto principalmente a famiglie e ragazzi adolescenti e il campo profughi di Principovac, sul confine con la Croazia, rivolto a giovani uomini adulti.
I campi profughi lungo la rotta balcanica accolgono migranti che cercano di raggiungere l’Europa alla ricerca di un futuro migliore, ma il viaggio che li attende è un “game” -come lo chiamano loro- con la vita stessa, dove si ha il 50% di vita e il 50% di morte. Proprio così loro descrivono il viaggio che è partito da paesi lontani come il Kurdistan, il Pakistan, il Bangladesh, la Siria, l’Afghanistan: si parte a piedi, poi si trovano mezzi di fortuna come camion o autobus, qualcuno che passa dalla Turchia prende la barca… la meta è per tutti l’Europa, considerata posto sicuro, dove poter ricominciare una vita dignitosa per sé e per la famiglia.
Eppure per tanti l’Europa è irraggiungibile, perché tante sono le difficoltà durante il viaggio e il superamento dei confini non è immediato. Ecco, quindi, che i migranti sono bloccati nei campi profughi i Serbia o in Bosnia in attesa di poter ripartire e tentare nuovamente di superare il confine.
Noi abbiamo vissuto due settimane in questi campi: l’obiettivo del Cantiere era quello di supportare le organizzazioni locali, come Ipsia e Caritas, ad organizzare interventi psicosociali quali attività ricreative, sport, giochi all’aria aperta, o corsi di lingua che potessero alleggerire i lunghi tempi di attese delle famiglie e dei giovani che sono all’interno dei campi.
Non era molto quello che potevamo offrire, una partita a pallavolo, laboratori di disegno per bambini, giochi di gruppo, “beauty saloon” per donne e ragazzine… attività molto semplici con l’unico scopi di rompere l’aria monotona e ripetitiva di chi vive dentro i campi e regalare un po’ di risate e allegria per qualche giorno.
Sono state solo due settimane, eppure l’intensità degli incontri è stata profonda, come l’incontro con Halat che mi porto nel cuore.
Maria Antonietta
..qui di seguito una lettera fra due ragazze incontrate!
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