Mt 10, 1-6
In quel tempo. Il Signore Gesù, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele».
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Anche in questo brano di Vangelo ritrovo sempre con piacere Gesù che ci mostra la figura di Padre attento e protettivo, autorevole ma amorevole.
Infatti Gesù chiama a sé i “suoi” dodici apostoli. Li sente “suoi”. E sente anche il diritto di dare e addirittura cambiargli il nome, come fa un padre. Il chiamarli a sé dimostra che oltre a volergli bene sente un legame particolare con i “suoi”. Loro appartengono a Gesù con questa chiamata.
Ancora adesso molti ordini religiosi chiedono il cambio del nome, quando si fa la professione solenne. Questo accade per risaltare il passaggio di appartenere a Gesù. Lasciare tutto e affidarsi alla sua Parola.
Ognuno di noi è chiamato da Dio, per mezzo del suo nome. Due azioni si comprendono: Gesù che chiama i discepoli con lo scopo di formare comunità e andare in missione.
E noi, come ci rapportiamo in questo? Sentiamo Gesù che ci “chiama” per fare comunità?
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