Gabriele è un ragazzino che ha appena concluso la seconda media. La madre, di origini peruviane, mi ha chiesto se potevo parlare col figlio reduce da un anno di bullismo subito a scuola.
Per stemperare il disagio di un ragazzo smarrito nel dialogo improvvisato con un adulto sconosciuto, inizio la conversazione chiedendogli della sua passione per il calcio, seguito e praticato. Mi racconta dei suoi sogni, del provino con le giovanili del Milan previsto a breve, dei suoi tre fratellini più piccoli a cui deve badare nelle occasioni in cui la mamma è assente quando va a fare le pulizie presso alcune famiglie.
La madre, Lea, mi ha fatto leggere la pagina di un tema scritto da Gabriele dove emerge tutto il dolore, e insieme la delusione, provati dal figlio di fronte a un padre perennemente assente per i suoi “viaggi di lavoro” in Perù. Questa donna, di corporatura minuta ma di indomabile tenacia, è l’unica roccia salda a cui potersi aggrappare e su cui i figli sanno di poter contare.
La conversazione tocca il punto dolente delle angherie inflitte durante l’anno scolastico da parte di due compagne di classe, con tanto di occhiali da vista spaccati irrimediabilmente.
La scuola non è potuta intervenire perché, con un’interpretazione pilatesca della normativa, i fatti sono accaduti all’uscita da scuola, all’esterno dell’edificio e al di fuori dell’orario scolastico.
Gli chiedo semplicemente che sentimenti nutre nei confronti delle due ragazzine. Mi sarei aspettato una voglia di ringhiosa rivalsa per i torti subiti, e invece mi spiazza con una risposta disarmante: “Sono solo due poverette”.
“The child is father of the man”, così recitava William Wordsworth.
Il senso di pietà provato da Gabriele nei confronti di quelle due “povere” vessatrici è la più grande lezione ricevuta, al di là di ogni corso sociopsicopedagogico sul bullismo frequentato in questi anni.
Mantenere uno sguardo di umanità sul carnefice riconoscendolo come meritevole di attenzione, vittima a sua volta di mancanze non risolte, non è certamente facile. Lo potremo fare solo se c’è un amico, una persona pronta a farsi carico delle nostre debolezze e solitudini, per riassorbire la rabbia in uno sguardo di (auto)stima più grande del male subito.
“Quando sono debole, è allora che sono forte…”
Claudio De Ponti
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