Io e mia moglie, e la nostra comunità Ugandese (altri quatto laici italiani), siamo missionari legati all’ordine dei frati minori francescani ofm.
In questo periodo natalizio sono rientrati tutti per un mese di vacanza in famiglia. Con loro abbiamo desiderato recarci nei luoghi segnati dalle scelte e dal carisma del ‘poverello’ di Assisi.
Con noi quest’Avvento è in Italia anche Abias, la nostra prima dipendente Ugandese, una ragazza di 26 anni che da 8 anni lavora presso la nostra missione, con la quale i nostri figli sono cresciuti. Abias è una seconda mamma e una sorella maggiore. Dopo anni abbiamo desiderato mantenere la promessa di portarla a casa nostra per farle conoscere il nostro paese e i nostri affetti.
La riflessione di questo mese ruota attorno al carisma francescano ( l’ordine che della povertà ha fatto la sua “madonna” cui noi cerchiamo di ispirarci) e agli occhi di Abias che guardano al nostro sfrenato consumismo natalizio.
Francesco non era un folle, nonostante lo si sia definito in mille modi differenti: Francesco era assolutamente concreto e molto pragmatico.
Il presepe lo voleva toccare, vivere, così come l’incarnazione e la passione che si sono ‘stampate’ in lui. La povertà è per Francesco anche un non impadronirsi, non impossessarsi fino a un non rubare. Qual che è mio non è tuo e se serve più a te ma io lo tengo, allora te lo sto rubando.
Un giro di parole per dire che per Francesco non c’era margine su questo. Condividere e avere poco sono fondamentali al nostro essere cristiano, qualcosa che oggi è per noi quanto mai difficile. Senza cadere nell’idealismo bieco, guardando ad Abias osservare il duomo di Milano, i suoi negozi, il nostro correre per negozi, o solo al supermercato perché mai nelle case può mancare la colazione o per cena si può mangiare poco o ‘a caso’, mi nascono molti interrogativi.
Abias è molto contenta, forse non pensa al ritorno, non pensa per un momento ai suoi che vivono nelle capanne di fango e sterco. Ma cosa dirà una volta a casa del tutto nostro avere… ma soprattutto di tutto il nostro TRATTENERE che le tornerà in mente?
Rifletto su di me questo pensiero e un poco mi sento un verme, come disse Francesco in altri contesti. Ho dato 10 anni all’Africa e ai poveri, e voglio farlo per tutta la vita, non sarà mai abbastanza, ma quello che ho ben chiaro è che per essere un Vero cristiano non posso non essere grato di quanto e quello che ho e che posso permettermi, grato di chi sono e dove sono nato, grato di tutto il nostro benessere e delle conquiste scientifiche e tecnologiche, e così avere sempre nel cuore quell’ILARITÀ che Francesco raccomandava ai suoi frati. Un frate non felice è in peccato mortale…
Ecco il peccato mortale che non voglio e che non posso permettermi di avere quello di non ESSERE ILARE, FELICE: perché ne ho ricevuto tutte le possibilità. E con la nostra felicità missionaria conquistare il mondo!
Giorgio (Ewe Mama)
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