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Difendere l’Ambiente è un diritto e non un crimine

Difendere l’Ambiente è un diritto e non un crimine

Ci sono alcune parti del Mondo nelle quali difendere l’ambiente costa la vita. Da “Missing Voices”, l’ultimo report annuale dell’organizzazione non governativa britannica Global witness, emerge un dato assai preoccupante: a partire dal 2012 più di duemila difensori dell’ambiente sono stati uccisi e, in modo particolare, 196 soltanto nel 2023.

L’America Latina è il continente più pericoloso per gli environmental defenders e la Colombia è il paese più pericoloso al Mondo per gli attivisti climatici; dal 2012 ha contato, infatti, ben 461 omicidi di difensori ambientali di cui 79 nel 2023. Corruzione, censura e violenza, rendono difficile risalire ai mandanti degli omicidi, che nella maggior parte dei casi agiscono con la complicità dei governi, determinati a reprimere e soffocare le voci ritenute scomode e sovversive. Un fenomeno terribilmente comune in alcune aree del pianeta è quello delle “enforced disappearances”: attiviste e attivisti vengono fatti sparire, imprigionati e torturati, mentre viene cancellata qualsiasi loro traccia. Questo impedisce alle famiglie di ottenere giustizia: spesso, infatti, è impossibile denunciare senza pensare di subire ritorsioni o pesanti ripercussioni. Nella maggior parte dei casi (circa il 49%) le vittime provengono da comunità ben precise: stiamo parlando delle comunità indigene e afro discendenti, storicamente le più marginalizzate e “invisibilizzate”.

Questa disparità mette in evidenza quanto ci sia bisogno di un attivismo intersezionale che sia autenticamente capace di tenere insieme la lotta per l’ambiente e quella per i diritti delle minoranze: solo così, infatti, è possibile costruire una rete globale realmente forte e resistente.

Il report dedica un approfondimento anche all’America centrale, dove la situazione appare molto preoccupante: nell’ultimo anno sono stati uccisi 36 difensori ambientali -un quinto del totale globale- nonostante la regione ospiti solo l’1% della popolazione terrestre. Queste aree del pianeta sono geopoliticamente molto complesse e vulnerabili: i governi, spesso autoritari e dittatoriali, hanno scelto di tutelare i gruppi di potere economici appartenenti alle grandi multinazionali che depredano e distruggono questi territori.

Ma siamo sicuri che in Occidente la situazione sia tanto diversa?
Assolutamente no: si sta assistendo a un crescente clima di intimidazione contro le attiviste e gli attivisti che vengono spesso silenziati, processati ingiustamente e resi invisibili. Questo viene spiegato e mostrato all’interno del report “Diritto, non crimine. Per la Madre Terra, la giustizia sociale, ambientale e climatica”, il primo rapporto italiano che ha l’obiettivo di indagare sull’ondata repressiva che sta colpendo chi manifesta pacificamente per la giustizia climatica. E’ stato realizzato da un tavolo di lavoro promosso dopo la visita in Italia nell’aprile 2023 di Michel Forst, nuovo relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente.

La repressione sta diventando la risposta più facile al dissenso”, ha affermato Forst durante il suo viaggio che aveva l’obiettivo di raccogliere informazioni sulle forme di attivismo ambientale e sulla risposta governativa alle forme di protesta. Nel rapporto si denuncia la crescente criminalizzazione della protesta pacifica per il clima, attuata attraverso leggi, provvedimenti e processi contro gli attivisti e le attiviste che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta che vengono spesso etichettati come “criminali”, “eco-vandali” o “nemici dell’ordine pubblico”. Questo sta avvenendo anche in Italia: ad esempio, il Consiglio dei Ministri lo scorso anno ha approvato un nuovo decreto legislativo ad hoc con l’intento di contrastare e reprimere i movimenti e le associazioni attraverso multe
fino a 60mila euro e il carcere da sei mesi a tre anni se si deturpano edifici pubblici. Anche in Italia è molto difficile – e, possiamo dire, anche pericoloso- praticare il legittimo diritto a difendere l’ambiente e a chiedere giustizia climatica e sociale.
Secondo Forst, “servono istituzioni meno populiste e giudici più coraggiosi” per comprendere le vere cause delle azioni che vanno anche contro la legge. Concorda con lui anche Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, che afferma: “anziché continuare a reprimere il dissenso nonviolento e alimentare una narrazione anti-ambientalista che non giova alla causa, politica, aziende e finanza dovrebbero comprendere che stiamo correndo un serio pericolo e ascoltare finalmente la voce di chi protesta per attuare misure concrete e mitigare gli effetti del surriscaldamento globale: è in
gioco il futuro di tutte e tutti noi”.

È necessario, come società civile, ricordare l’importanza della disobbedienza civile pacifica e dell’attivismo. Infatti, la repressione che stanno attualmente affrontando gli attivisti per il clima che praticano la disobbedienza civile pacifica rappresenta una grave minaccia per la democrazia e i diritti umani.

Il documento redatto da Forst si chiude con una serie di raccomandazioni agli Stati, che, secondo la sua visione, devono innanzitutto agire per affrontare la crisi climatica e agire per contrastare le narrazioni che presentano i difensori dell’ambiente e i loro movimenti come criminali. Chiede poi ai governi di rispettare gli obblighi internazionali relativi alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione. “L’unica risposta legittima alle mobilitazioni pacifiche e alla disobbedienza civile è che le autorità, i media e l’opinione pubblica si rendano conto di quanto sia essenziale per tutti noi ascoltare ciò che i difensori dell’ambiente hanno da dire”, conclude Forst.

Gaia Sironi

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