Sei anni fa ho deciso di dare una sterzata brusca alla mia vita e ho lasciato un lavoro che mi piaceva, ma non mi dava umanamente quello che cercavo, per intraprendere un percorso che mi ha portato a lavorare nel mondo delle cure palliative assistendo i malati terminali.
Ogni giorno, quindi, ho a che fare col dolore, che sia fisico o emotivo. Il dolore non piace a nessuno eppure lo viviamo, ci circonda (basta vedere un telegiornale qualsiasi), è inevitabilmente parte della nostra vita. Siamo costretti a passarci attraverso con tutte le nostre fragilità e paure.
Mi trovo spesso in difficoltà, quando me lo chiedono, a raccontare del mio lavoro perché alle persone, solitamente, non piace sentir parlare del dolore, della sofferenza, della morte. Sembra quasi che evitare di parlarne renda tutto questo meno “vero”.
“Mamma mia, ma come fai?” è la domanda più frequente che mi sento fare e io una risposta chiara non ce l’ho, davvero.
Posso solo dire, però, che quello che probabilmente la gente non sa è che anche quando sembra che non ci sia più nulla da fare, in realtà, c’è ancora tanto spazio per portare sollievo in un momento così difficile e duro da affrontare.
Il dolore fisico può essere attenuato dalle medicine ma anche il dolore emotivo, quello profondo, quello ancora più complicato da attraversare può essere lenito anche con piccole cose: uno sguardo, una carezza, una stretta di mano, un abbraccio, il riuscire a stare seduti almeno il tempo di un pasto, il vedere un’ultima volta il proprio cane, lavarsi i capelli, farsi una doccia…
Non sempre è facile portare sollievo, non sempre ci si riesce, ma questo lavoro mi insegna ogni giorno l’importanza dei piccoli gesti, del rispetto, della dignità della persona anche nei momenti più bui e difficili. Mi insegna ogni giorno che anche nella sofferenza ci può essere una speranza, che il conforto può passare anche solo da uno sguardo, che dai dolori più profondi possono nascere fiori belli e inaspettati.
Milena Borsani, Operatore Socio Sanitario nelle cure palliative
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