Il mondo giovanile è spesso al centro dei discorsi e delle esortazioni apostoliche di Papa Francesco, che incessantemente incoraggia le nuove generazioni ad avere fiducia, a sognare, ad aprirsi all’incontro con l’Amore. Accanto al dialogo con i giovani, il pontefice non manca di interpellare anche gli adulti, richiamandoli al loro compito di accompagnatori ed educatori.
In quanto insegnante e credente, anche io mi sento coinvolta nella sfida educativa, oggi più che mai urgente ed impegnativa, soprattutto in questi ultimi anni.
La pandemia, con i lunghi periodi di lockdown e di DAD, ha contribuito ad accentuare quei tratti di fragilità e disorientamento che già da tempo colgo nei bambini e nei ragazzi delle ultime generazioni. Esperti di tecnologie, tutto il giorno connessi sui social, ma spesso impacciati nel gestire relazioni a tu per tu e nell’affrontare la realtà concreta.
Da quando ho iniziato ad insegnare, ho incontrato ed accompagnato per un tratto della loro esistenza centinaia di adolescenti di diversi istituti superiori, da quelli professionali ai licei.
Va detto che, presa dalla routine quotidiana fatta di lezioni, esercitazioni, compiti in classe, non è facile creare situazioni in cui gli alunni possano aprirsi ad un dialogo confidente per raccontare sogni, paure, emozioni.
Come docente di Lettere, tuttavia, mi ritengo fortunata perché, leggendo i testi di tanti letterati di varie epoche, donne e uomini di straordinaria sensibilità e intelligenza, capita spesso di affrontare temi esistenziali che valgono per gli esseri umani di ogni tempo.
Purtroppo non sempre gli studenti comprendono questo privilegio che hanno e non ne sanno fare tesoro: non capita a tutti di poter “perdere tempo” immersi nella bellezza. Il sentire comune li ha abituati a monetizzare qualsiasi cosa, in primis il proprio tempo.
Trovo che l’aspetto più drammatico che riguarda sia i giovani che il mondo adulto di oggi sia questo: la perdita di curiosità intellettuale, l’appannarsi della capacità di stupirsi davanti al mistero della vita, al sapere umano, al patrimonio di conoscenze tramandateci nei secoli e a quanto resta di ignoto e insondato.
A ciò si associano anche altre abitudini comportamentali, che sicuramente sono anche il frutto del sostrato socio-culturale in cui viviamo: l’autoreferenzialità, che genera una certa indifferenza all’altro e alla dimensione comunitaria, e la fragilità emotiva, che nasce da un approccio molto epidermico e istintivo, ma che ha poco a che fare con il vivere i sentimenti in modo consapevole.
Questi atteggiamenti si sono acuiti nei lunghi mesi di isolamento forzato che ha richiesto la fase del lockdown e hanno creato anche gravi fenomeni di alienazione, in alcuni casi di depressione.
Vedevo dietro lo schermo dei PC volti spenti, una passività che difficilmente riuscivo a scuotere. Certo, questi fenomeni esasperati si possono legare al caso eccezionale creato dalla pandemia, ma mi chiedo se per caso non siano la conseguenza di un cortocircuito che si è verificato in tempi non sospetti.
Qualche anno fa mi è capitato di leggere un articolo relativo ad un’indagine, coordinata da una psicologa su un campione considerevole di adolescenti della provincia di Como, in merito al loro modo di vivere e gestire le emozioni. L’esperta sintetizzava i risultati affermando che i giovani non possiedono la “grammatica dei sentimenti”, ossia, pur provandone molti e intensi, non li sanno riconoscere né li sanno dominare e vivere in modo equilibrato.
Sono sostanzialmente d’accordo con questa disamina. Constato con mano ogni giorno quanto poco basti per mandare in crisi un ragazzo e vederlo in preda al panico. Un disorientamento dei sentimenti che si estende anche all’ambito delle relazioni.
Credo che sia proprio su questi aspetti e dimensioni che gli adulti debbano tornare ad educare ed accompagnare, a partire dai genitori, ma senza escludere nessuna figura di educatore, compresi i docenti. Occorre abituare i ragazzi a “sentire” (provare sentimenti) in modo autentico, come anche di stimolare la loro intelligenza, cioè la capacità di “intus” “legere”, legger dentro, in profondità: dentro se stessi, negli altri, nelle vicende.
A fronte dell’esaltazione dell’uso delle nuove tecnologie quale mezzo per sviluppare competenze, ritengo sia urgente insegnare alle nuove generazioni a produrre pensiero critico, a far funzionare quell’enorme miniera di creatività che è il cervello umano, che nessuna macchina potrà mai sostituire.
Più che pretendere di avere risposte immediate, bisogna abituare a porsi delle domande, a concepire la conoscenza come un
itinerario mai finito e che richiede tempo e pazienza. Socrate, antico filosofo greco, lo aveva capito e aveva ideato una modalità che ritengo ancora di grande validità: il dubbio socratico.
Ho parlato di dimensione psicologica e intellettuale da sviluppare, ma ve ne è una terza non meno importante, oggi quasi del tutto bistrattata nel nostro mondo in cui dominano l’ateismo e la tecnocrazia. L’essere umano ha una dimensione trascendente, spirituale che lo innalza al di sopra di qualsiasi altro essere vivente.
Credo che si debba tornare a far crescere nei ragazzi l’”homo religiosus”, che abbia uno sguardo aperto all’Alterità. Una formazione integrale della persona deve tener conto di tutte queste dimensioni. Compito arduo, per cui non ho ricette collaudate.
Concludo con un motto di Alex Langer (politico, pacifista, giornalista, scrittore e ambientalista altoatesino vissuto dal secondo dopoguerra fino al 1995), che vorrei fosse alla base della mia missione educativa e della vita dei miei alunni. “Più lenti, più profondi, più dolci”.
Anna
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