Sono le 17.30 di un venerdì pomeriggio di fine aprile, in cui il sole indugia ancora volentieri nel cielo e l’aria profuma di gelsomino.
Siamo attese da Luisa, tornata da un’esperienza missionaria in Cambogia, che ci accoglie sorridente in casa e ci fa accomodare in salotto, offrendoci una deliziosa fetta di crostata accompagnata da una dissetante tazza di tè. Ci ritroviamo così a trascorrere piacevolmente un’oretta e più: Luisa mette in fila ricordi precisi e storie che la emozionano, sguardi e volti che le sono rimasti impressi, ma anche notizie dettagliate sulla situazione sociale nel Paese dal quale è appena rientrata, un contesto che ormai conosce bene e del quale rievoca anche il tragico passato.
Facciamo un passo indietro: come hai conosciuto la realtà missionaria?
E’ iniziato tutto quando suor Shanty, dell’ordine di Santa Maria Ausiliatrice, diciotto anni fa mi invitò in Kenya: grazie all’amicizia con lei e con altre sorelle, da quella prima volta ogni anno sono tornata in Africa: non solo in Kenia, ma anche in Tanzania, Ruanda, Etiopia… e poi in Asia: nelle Filippine e adesso in Cambogia.
Riguardo alla tua ultima esperienza in Cambogia (dove hai raggiunto suor Shanty, ora trasferita lì): in che cosa in particolare hai potuto riconoscere l’attenzione nei confronti degli ultimi?
Le suore a Battambang hanno accolto ottanta giovani donne dai 12 ai 18 anni che provengono da realtà rurali del circondario: delle ragazze dell’internato mi ha colpito la dignità, la cura di sé e l’attenzione che pur nella povertà dimostrano. Lì abbiamo incontrato il vescovo Enrico (che i cambogiani amano chiamare don Chico) di origine spagnola, persona di rara umanità: ha fondato l’associazione Paloma, che promuove una serie di iniziative a favore dell’inclusione dei ragazzi con disabilità. Essi sono impiegati in un laboratorio tessile in cui si realizzano maglioncini di cotone e di cashmere e in un hotel, che loro stessi gestiscono. Ho visto anche molti ragazzi resi invalidi dalle ferite causate dalle mine antiuomo ancora risalenti all’epoca di Pol Pot, il feroce dittatore che voleva creare una “nuova Cina”.
Nei villaggi si coglie la povertà (anche se è nascosta da una profonda dignità), mentre le città cercano di emergere e vi è grande vivacità. La popolazione è giovanissima e mi piace sottolineare che la donna è la colonna portante della famiglia (e della nazione): questo è a mio parere un elemento di forte modernità.
Che cosa hai portato, quando ti sei recata lì in marzo?
Medicinali (per 1000 euro) raccolti grazie al concerto organizzato in chiesa a S.Martino il 12 novembre; ma anche contanti (ricavati della vendita delle torte sempre presso la nostra parrocchia Madonna Pellegrina) per una retta scolastica, con i quali abbiamo pagato l’intero iter degli studi di una ragazza dell’internato; e poi tovaglie, presine, asciugapiatti salviette…
Come è organizzata la scuola delle suore salesiane?
Presso Battambang c’è una scuola secondaria (assimilabile al nostro liceo), mentre nella capitale Phnom-Penh vi è un istituto alberghiero, da cui escono ragazzi preparatissimi che facilmente riescono a trovare impiego.
Le suore si prodigano affinché l’istruzione sia diritto garantito a tutti, indipendendentemente dal credo religioso professato: gli studenti sono per la maggior parte buddisti.
Sottolineo tuttavia che quotidianamente in chiesa trovavo anche molti non credenti, in fila per chiedere di essere benedetti: certo vi è un avvicinamento alla fede grazie alla relazione personale con i sacerdoti e le suore che vi operano. E’ bello scorgere ovunque rispetto e tolleranza per le diverse fedi.
Qualche annotazione sulla vita di villaggio: gli abitati rurali, costituiti da tipiche case costruite come palafitte, sorgono in mezzo alle risaie. Lì le famiglie più sensibili nei confronti della nostra fede ogni domenica accolgono le suore per creare con loro momenti di aggregazione e spazi dedicati al catechismo (i cattolici sono lo 0,1% della popolazione cambogiana). Nei villaggi si recano periodicamente medici con differenti specializzazioni provenienti dall’Europa, che cercano di sopperire alle carenze del sistema sanitario statale.
La nostra piccola intervista termina così: grazie, Luisa, per la disponibilità e la generosità con cui ci hai accolto e raccontato della tua esperienza in Cambogia, ma grazie anche di quanto le sole parole non hanno potuto dire, ma che il tuo sguardo partecipe e entusiasta ha saputo comunicarci.
Gruppo Missionario San Martino di Bareggio (MI)
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