Dopo tanti anni di esperienza missionaria in Uganda mi è rimasto particolarmente nel cuore un aneddoto, un’esperienza capitata almeno sei o sette anni fa, per cui i protagonisti di cui vi parlerò sono ormai probabilmente adolescenti, e spesso in cuor mio mi chiedo che fine avranno mai fatto e mi auguro stiano bene.
Certamente Dio quel giorno li ha utilizzati per darmi una bella lezione, per stamparmi indelebilmente nel cuore un’immagine bellissima. Inoltre l’episodio torna utile in questo tempo così difficile, nuovo e di sfida.
Erano i primi anni di esperienza in Uganda e ancora non ci sentivamo perfettamente integrati con quel popolo e quella cultura. La sera si usciva per passeggiare, era un’ottima occasione per incontrare bambini giovani e anziani insomma per farci conoscere. Verso il tramonto il lontananza in questa terra rossa meravigliosamente avvolta dai tanti verdissimi bananeti scorgiamo la figura di due bambini piccoli che vengono verso di noi e ma mano si avvicinano di buon passo. Sono un maschietto che avrà avuto all’incirca quattro anni e la sua sorellina maggiore che così ad occhio avrebbe dovuto avere avuto tre anni in più di lui.
Camminano in maniera molto affettuosa tenendosi per mano, ci piacciono molto e inizio generosamente a salutarli così come se il loro saluto mi avrebbe portato della gioia nel cuore. La bimba immediatamente risponde al mio saluto e così pongo l’attenzione al maschietto a cui ripropongo il mio saluto, siamo ancora a una buona distanza e ho il tempo per domandarmi ma perché il bimbo non mi saluti: avrà paura, gli avranno detto qualcosa di male sui bianchi, insomma la mente correva nei suoi 100 preconcetti senza trovare il perché però del non saluto di un bimbo così bello.
Mano che si sono avvicinati e non riuscivo a comprendere questa strana reazione ecco che tutto ad un tratto mi sono accorto che era il fratellino cieco che veniva riaccompagnato a casa della sua sorellina maggiore…in tutti i sensi. Non so perché questo episodio mi abbia tanto colpito, forse perché inizialmente nel mio cuore era nato un po’ di dispiacere e anche qualche preconcetto culturale. Poi Dio ha voluto fare nel mio cuore una rielaborazione del fatto.
Erano i primi anni di missione, soprattutto i primi anni in una terra, in una cultura completamente diversa dalla nostra, spesso io e mia moglie ci sentivamo completamente soli ma mai abbandonati. E forse proprio in funzione di tutte quelle volte che avevamo un po’ dubitato della nostra vocazione, e in cuor nostro ceravamo detti ‘ma perché proprio noi’, ‘cosa ci facciamo qui’, ‘ma siamo diventati matti’, Dio con una parabola ha voluto rassicurarci.
Noi tutti nella nostra fede siamo un po’ come quel bambino e non sappiamo vedere molto lontano. Tutte le novità possono tanto spaventare, ma accanto a noi con dolcezza, con la tenerezza fraterna, con la tenerezza di una bimba poco più grande di noi, in tutta la sua dolcezza Dio si fa nostri occhi, si fa nostre mani, si fa nostri piedi, si fa per noi certezze e ci conduce sempre sicuri.
Non è una parabola inventata, non è un fatto su cui abbiamo riflettuto troppo, è proprio così come Dio ce l’ha voluto donare, nella nostra supponenza ci siamo sentiti tante volte invincibili, imbattibili e non siamo mai stati capaci di riconoscere la nostra fragilità, spesso per mancanza di umiltà e con questo episodio, così quotidiano, così vero e così profondo ci ha fatto vedere non solo l’amore di due fratelli ma ha rappresentato anche l’amore che Dio nutre costantemente per noi.
Buon cammino a tutti.
Giorgio e Marta
www.ewemama.org
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