La bellezza è negli occhi di chi contempla

il PRIMO passo Amori e Chiesa

il PRIMO passo Amori e Chiesa

Mi trovo dentro ad una grande confusione. Mi sento lì. Insieme a tanti fratelli e sorelle.

Ho amiche e amici omosessuali, persone a cui il mio cuore è legato, persone con cui cammino quotidianamente. Conosco diverse coppie conviventi, amici e familiari. In entrambe le situazioni: storie da cui imparo molto sull’Amore.

E mi sento confusa: qual è il loro posto nella nostra Chiesa? È possibile che ci si debba davvero domandare quale sia il loro posto (o forse, addirittura, se esista un posto)?

 

Ecco, mi sono fregata. Ancora una volta sono entrata nell’argomento in modo ostile, rivendicativo, forse anche rabbioso!

Rifaccio. Cambio prospettiva:  in fondo lo so che se la sofferenza non viene messa a servizio non può diventare forza vitale e feconda, non può portare bene…Qualcuno prova a insegnarmelo da sempre!

 

So di entrare in un terreno scomodo, che può generare reazioni molto diverse, dallo scandalo all’apertura, dalla resistenza all’empatia. Mi sembra che possa essere tutto legittimo.

Quale buona notizia ci può essere in questo terreno? Può essere un suolo fecondo?

 

Vorrei tentare una risposta a partire da una recente esperienza.

Pochi giorni fa ho partecipato ad un incontro di un gruppo di cui faccio parte: persone credenti, di differenti età, provenienze e situazioni di vita, che provano a camminare insieme nella fede in svariate forme (dalla preghiera insieme, al sostegno di situazioni di difficoltà, ad incontri formativi). Il nostro ritrovarsi, questa volta, ha avuto come tema centrale di dialogo quello delle persone omosessuali credenti, e più ampiamente quello dell’omosessualità nella Chiesa.

 

Ci siamo interrogati a partire dalla recente Dichiarazione Fiducia supplicans 

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/12/18/0901/01963.html

 

Inutile riportare i vari contributi personali: non è difficile credere che si siano mossi sentimenti e disposizioni differenti, specialmente a partire dalla singolare situazione di vita di ciascuno. Che spazio trovano le benedizioni citate nel documento (che vengono definite solo per sottrazione rispetto alle benedizioni liturgiche)? Quelle benedizioni parlano di accoglienza? Parlano di Gesù? Tante le domande che si sono agitate all’interno del gruppo. Difficile trovare un consenso. Anzi: impossibile per noi, in questo momento.

Eppure ciascuno di noi ha individuato ciò che è già fecondo, per davvero. È feconda, può portare vita, la possibilità di confronto di cui abbiamo potuto godere intorno al tema dell’omosessualità. Sappiamo che si tratta di una rarità. Abbiamo intuito, soprattutto, che può essere un germoglio che ciascuno di noi, come crede, può portare nelle proprie giornate. È poco, il solo parlarne?

A nessuno di noi era ancora capitato di leggere per intero (o addirittura studiare) un documento ufficiale della Chiesa: questo ci ha detto che ci sentiamo interpellati, che siamo chiamati a dire la nostra alla Chiesa.

Ancora, fondamentale: ci siamo sentiti chiamati a prendere una posizione di fronte alla novità della Dichiarazione. Non già in termini di accordo o disaccordo circa i contenuti, quanto piuttosto scegliendo se accordare benevolenza, o meno, a questo passo che è stato mosso. È un piccolo passo? È un piccolo passo? È il primo passo?

O per usare un’altra immagine che ci ha toccati (suggerita dal cantante francese Jean Jacques Goldman): i 15 gradi che percepiamo sono quelli di ottobre, che precede l’inverno, o sono quelli di aprile, che apre allo sbocciare primaverile?

Questo, probabilmente, è ciò che possiamo scegliere adesso. Mentre siamo nella confusione.

Certamente ci troviamo di fronte ad una strada lunga, quasi sicuramente faticosa. Ma il primo passo è stato mosso. Se così vogliamo credere.

Silvia C. 

 

 

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