Dal 18 luglio al 25 agosto 2024 ho condiviso con un gruppo di giovani un’esperienza in Kenya, di conoscenza della vita missionaria Comboniana.
Dopo aver trascorso tre settimane nella realtà rurale di Kitelakapel, condividendo le varie attività della comunità internazionale dei Laici Missionari Comboniani, (con Linda dall’Italia, Marzena dalla Polonia, Pius dall’Uganda), siamo stati ospiti nella parrocchia di Kariobangui, un quartiere periferico della città di Nairobi, adiacente al grande slum di Korogocho attraversata da “Dandora”, la più grande discarica dell’Africa a cielo aperto. Dentro all’enorme compound, trova spazio la casa delle suore Missionarie Comboniane, che coordinano una scuola professionale di cucito per le donne e collaborano con i padri ed i fratelli Missionari Comboniani nelle attività del dispensario medico. Inoltre, ci sono un centro di fisioterapia per bambini con disabilità fisica, una grande biblioteca ed aule studio per gli studenti delle scuole circostanti, oltre a sale polifunzionali per incontri di formazione e di catechismo.
Abbiamo vissuto una settimana in questo ricco contesto di famiglia Comboniana e, divisi in piccoli gruppi, abbiamo preso parte ad alcuni progetti della parrocchia, sia in ambito educativo che di salute, coordinati dagli operatori locali.
Io e Michele e Linda abbiamo fatto parte del progetto “Health Comboni Center”. Si tratta di un centro di salute nel quartiere di Korogocho che si dedica in modo particolare, alla cura e all’accompagnamento delle persone affette da Aids. Uno staff di medici ed infermieri, psicologi, educatori e volontari, offre un servizio quotidiano non solo per la terapia medica, ma anche svolgendo campagne di prevenzione, visitando le persone nelle loro case per un’analisi accurata di tutti i bisogni, ed offrendo un supporto psicologico ai malati e alle loro famiglie.
Ho camminato per le strade di Korogocho, accompagnati dall’esperienza di Mary, Susan e Veronica: con loro mi sono immersa tra le vie strettissime del quartiere dove si passa solo in fila indiana; per procedere ho scavalcato cumuli di immondizie; sono entrata nelle case abbassando il capo per non sbattere contro i tetti in lamiera, quasi costretta a trattenere il respiro per passare dalla porta di
minuscole abitazioni in cui in una sola stanza, a carissimo costo d’affitto, vivono intere famiglie, con un solo letto per tutti ed un fornello a cherosene per scaldarsi.
Questi spazi angusti e bui erano per me illuminati e riscaldati dall’incontro prezioso dei volti resilienti di Michel, Susan, Rachel ed Elizabeth, che nonostante la malattia e la miseria che li circonda, hanno un sorriso smagliante, una luce abbagliante negli occhi, braccia spalancate e quella forza nella stretta di mani che mi fa ancora vibrare il cuore.
Per me è stata commovente l’accoglienza speciale che ci hanno riservato: pur nella semplicità e nella povertà materiale, erano desiderosi di spezzare con noi la loro storia e avevano la curiosità di conoscere la nostra esperienza. Questi scambi di vite mi hanno ricordato le parole “Beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” e la loro fiducia, libertà e reciprocità nel dialogo con noi mi ha fatto sentire “fratelli e sorelle, tutti!”.
In tutti gli incontri fatti, nel momento del saluto, le persone ci hanno sempre chiesto di pregare insieme.
Questa loro testimonianza di fede, così profonda che li rende capaci di non arrendersi mai e di continuare a sperare in un bene più grande, mi è sempre di insegnamento e di esempio, perché “l’essenziale è invisibile agli occhi”.
Giulia
Uno dei ricordi che mi porterò sempre è quello del ritmo dei passi della gente in cammino. Mi sembrava di ascoltare un’orchestra suonare; percepivo un’unica entità che si muoveva tutta insieme. Vivevo una certa armonia nel movimento degli abitanti, una sinergia, una sincronia, e questo, in qualche modo, mi trasmetteva molta pace interiore.
Durante la visita alle famiglie, entrando nelle loro case, ascoltando i loro racconti, ho scoperto il legame di solidarietà che unisce profondamente le persone e apprezzato la loro capacità di offrirsi organizzarsi in azioni di mutuo aiuto, soprattutto nelle situazioni di difficoltà, “cingendosi il grembiule ai fianchi e lavando i piedi al prossimo”. Mi colpiva, particolarmente, anche il grande impegno dei
social workers e dei professionisti, a cercare tutti insieme soluzioni talvolta anche a grandi problemi, con intraprendenza, spirito di iniziativa e un po’ di creatività.
Mi è rimasta impressa la visita a un signore malato di tubercolosi che giaceva a terra in un angolo di una vecchia chiesa in disuso, abbandonata, fatta tutta di lamiera e quale palo di legno, completamente buia, eppure capace di accogliere ancora una vita. Quella di Simon che faticava molto ad alzarsi in piedi e a stento riusciva a fare due passi. In quel momento mi sono ricordato che “le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della Croce”. Completamente solo, abbandonato dai famigliari, senza parenti vicini, per sopravvivere conta solamente sull’aiuto prezioso di amici del quartiere e degli operatori del centro: un pasto caldo, la terapia farmacologica, e una carezza. È stata un’esperienza in cui ho percepito forte “l’umanità in azione”.
Michele
Nonostante i pochi giorni, le nostre giornate erano sempre molto piene di attività che ci portavano ad incontrare gente, a vedere la loro realtà, a parlare con loro delle sfide che dovevano affrontare, a visitare le loro baracche buie e anguste ma con le porte sempre aperte per gli ospiti. Spesso mi sono trovata davanti a situazione surreali, credo che qualsiasi persona avrebbe fatto fatica ad accettare che nostri fratelli e sorelle siano costretti a vivere in quelle condizioni.
Penso che mai come in quella settimana mi è stato chiaro il concetto noto come “effetto farfalla” : può un battito d’ali di una farfalla in Brasile causare un tornado in Texas?
Ecco, camminando sulla immensa distesa di immondizia maleodorante dove bambini scavavano per cercare qualcosa da rivendere mi è stato chiaro come il nostro stile di vita consumistico di cui spesso non siamo consapevoli possa essere una condanna per chi poi è costretto a vivere tra i rifiuti provenienti dai paesi ricchi.
Allo stesso modo però, visitando i progetti dei padri comboniani, della Comunità Papa Giovanni XXIII, dell’associazione Amani onlus e delle suore francescane missionarie per l’Africa mi rendevo conto di
come le persone coinvolte in questi progetti, anche se poche rispetto alla numerosa utenza di keniani in stato di bisogno, facevano da cassa di risonanza e amplificavano il bene che si riversava su tantissima gente che ho avuto la fortuna di incontrare.
Laura
Qui, il contrasto con il villaggio era stridente: le strade erano affollate, lo smog e l’odore pungente della plastica bruciata riempivano l’aria. Una delle esperienze più sconvolgenti è stata la visita alla discarica di Dandora, una delle più grandi del continente. Vedere uomini e bambini rovistare tra i rifiuti per trovare qualcosa da rivendere è stato un pugno allo stomaco. Quell’immagine, di una
dignità calpestata dalla povertà, mi ha lasciata devastata. In quei momenti, mi sono posta infinite domande: dove sta Dio in tutto quel dolore? Ma ho capito che Dio è proprio lì, in mezzo a loro, in ogni gesto di sopravvivenza, in ogni atto di resistenza.
Durante la permanenza ho avuto l’opportunità di partecipare a un progetto “Prolife” che sostiene le ragazze rimaste incinte in giovanissima età. Camminando tra le stradine della baraccopoli, ho visitato le loro case, costruite con fango e lamiera, ed è stato impossibile non sentirmi fortunata. Ero consapevole del privilegio di essere lì come donna bianca, e spesso desideravo potermi mimetizzare, diventare invisibile, per comprendere ancora più a fondo la loro vita. La povertà era tangibile, opprimente, ma in mezzo a tutto questo, ho visto la resilienza e la forza di quelle donne, la speranza di un futuro migliore per i loro figli.
Questa esperienza mi ha lasciato una profonda consapevolezza: il valore della condivisione, della comunità e dell’essere presenti gli uni per gli altri.
Elisabetta
In questa realtà, assieme ai missionari della famiglia Comboniana (Padri, Suore, Fratelli, Laici), abbiamo potuto sperimentare cosa vuol dire “stare” ai crocicchi delle strade per fare festa con gli “invitati alle nozze” e ci vengono in mente le parole di Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale:
“Mentre dunque il mondo propone i vari “banchetti” del consumismo, del benessere egoistico, dell’accumulo, dell’individualismo, il Vangelo chiama tutti al banchetto divino dove regnano la gioia, la condivisione, la giustizia, la fraternità, nella comunione con Dio e con gli altri. …Proprio «i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» (Lc 14,21), vale a dire gli ultimi ed emarginati della società, sono gli
invitati speciali del re.”
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