Sono stati due anni complicati.
Sono certa che ognuno di noi possa raccontare le difficoltà sperimentate, il lockdown, gestire famiglia-scuola-casa-lavoro stando tutti sotto lo stesso tetto, le code al supermercato… A ciascuno di noi é rimasto solo il ricordo di qualche caro amico o familiare che non c’é più. Magari il virus ha attaccato il nostro sistema immunitario, la nostra capacità di gestire l’ansia o di stare in compagnia in un ambiente chiuso con un certo numero di persone…
È stato orribile! E non ne siamo ancora usciti del tutto.
Qui in Inghilterra la pandemia é stata gestita in modo differente rispetto all’Italia, ma non mi occupo di politica e non ho le competenze medico-scientifiche o economiche per poter giudicare chi ha fatto meglio o peggio.
So però che i progetti di molti si sono interrotti.
Noi ad esempio, dopo l’ennesimo trasloco, avremmo voluto iniziare a dare spazio a nuove amicizie, iniziare a intessere legami più solidi e stabili, ma con tutto quello che la pandemia ha comportato non ne abbiamo avuto la forza, il tempo, le energie. Non so come abbiamo fatto ad arrivare fino ad ora.
Forse la fortuna é stata proprio quella di non avere la forza, il tempo, le energie per pensarci. Siamo andati dritti, considerando in modo molto molto razionale cosa andava fatto (scuola, lavoro, spesa) e cercando di dare il meglio, provando a cogliere i lati positivi, anche se molto pochi. Non c’era molto spazio per le lamentele, abbiamo riconosciuto di essere affamati di solidarietà e di pensieri positivi.
Noi eravamo già abituati ad usare il computer e il telefono per vederci con i nonni e gli amici. È stato più difficile accettare di non poterli vedere di persona per oltre un anno. Con alcune persone, tramite computer e telefono, siamo riusciti a condividere le difficoltà: é stato edificante. I problemi non vanno ignorati o nascosti; se si riesce a spartirli sono più leggeri.
Ognuno ha sofferto e riconoscerlo empaticamente non fa sparire i problemi, ma aiuta ad affrontarli con la consapevolezza di non essere soli. Abbiamo imparato che si possono fare le stesse cose, ma con diversi stili. E che il medesimo lavoro fatto col sorriso viene meglio.
L’abbiamo imparato coi nostri figli, che erano felici di averci sempre con loro.
Un giorno, su un gruppo whatsapp, una ragazza ha iniziato a scrivere che si sentiva sola, che le mancavano gli amici e la famiglia e tutti hanno scritto la stessa cosa, finché qualcuno ha iniziato a dire che potevamo essere noi reciprocamente gli amici e le famiglie di tutti.
Da due anni la domanda “come stai?” non é più banale. Se succede qualcosa di bello, agognato da mesi, si é profondamente Grati. Ora se qualcuno ci invita a passare del tempo insieme, sappiamo che é importante ed é una occasione da non perdere.
Se qualcuno rimane bloccato in casa in quarantena, chiedo se serve aiuto, magari preparo una torta anche se non é consuetudine farlo qui, ma la gentilezza va oltre barriere e confini culturali e può essere contagiosa.
Si prosegue nella vita di tutti i giorni con lo stesso lavoro (quanta gratitudine!), la stessa scuola, le stesse faccende domestiche… ma cerchiamo di cambiare la modalità, con calma, un bel respiro e in cerca di dettagli belli che ci strappino un sorriso.
Maria (da UK)
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