La bellezza è negli occhi di chi contempla

Kitelakapel: insieme, tra mucche e spine, verso sentieri nuovi…

Kitelakapel: insieme, tra mucche e spine, verso sentieri nuovi…

Il West Pokot è una realtà affascinante, una cultura rimasta quasi intonsa nel corso degli anni, e che solo in tempi relativamente recenti si è aperta a cose nuove: i vestiti, l’elettricità, la scuola, l’agricoltura… Siamo nel nord-ovest del Kenya, al confine con l’Uganda, e se dici a qualcuno di Nairobi che sei diretto lì, ti guarderà con occhi confusi, come se andassi alla fine del mondo, dove nemmeno lui o lei ha mai messo piede e, per di più, in mezzo ai banditi… perché questa regione fa notizia solo quando ci sono scontri al confine, con i Karimojong dell’Uganda. E sì, ci sono, a volte, un po’ di screzi, ma limitati a certe zone, a certe situazioni, che non riguardano l’intera regione…
Kitelakapel, dove si trova la nostra missione, è una località tanto estesa nello spazio quanto poco densamente abitata. Lo stesso nome, a detta del mio maestro di Pokot, significherebbe qualcosa tipo “terra spaziosa e spoglia”: tra “foreste” di spine, a tratti macchiate del bianco, marrone o nero delle capre, sbuca ogni tanto qualche casupola, con galline, mucche, un orto di mais (nel periodo delle piogge), le cataste di legna raccolta per cucinare, le taniche di acqua riempite presso qualche lontano e raro pozzo, o scavando sotto la sabbia del letto di vecchi fiumi secchi. E una mamma, chinata a spazzare, o cucinare, o ad allattare un piccolino, tra le grida di avventure gioiose di altri bimbi in corsa su una carriola arrugginita, o rincorrendo il classico vecchio copertone di bici, o trainando ingegnose macchinine di cartone, fili di metallo e tappi.

La strada, sterrata, è delle mucche, di qualche pikipiki (motocicletta) e di una rara persona dal passo lento sotto un sole dritto e secco, o all’esile ombra di qualche alberello resiliente, le radici aggrappate a una manica di terreno, in balia della costante erosione.

Qui ci si cura con l’aloe vera e c’è chi sa i segreti delle piante del posto, le radici che curano il tifo, le foglie da masticare per mandare via la febbre, e per la malaria. A volte, certo, non bastano, ma al dispensario non si trova molto aiuto, a parte qualche pillola per la malaria, e magari qualche strumento in più per rimuovere le spine. Le spine sono ovunque, sugli alberi e per terra, e senza alcun permesso – traditrici- si infilano, trapassando le suole delle scarpe, nelle dita, nella piante dei piedi, a volte incastrandosi dentro la pelle al punto che non si riesce più a camminare. Ma i piedini dei bimbi se ne vanno veloci, spudoratamente scalzi, facendosene un baffo, agili per questi sentieri in mezzo al nulla, senza la minima indecisione sul dove andare.

E qui siamo anche noi a doverci fare piccolini e seguire loro che ci mostrano la strada, e ci indicano la nostra enorme e alta tanica dell’acqua come punto di riferimento per tornare a casa.
Casa è grande, troppo bella per il posto in cui siamo, ma cerchiamo di aprirla a chi viene per farsi disinfettare una ferita, per fare vedere a Marzena (la nostra laica polacca) qualche altro problema anche più grosso, e chiedere consiglio. Ai bimbi che nel weekend possono venire a giocare a pallone, colorare, saltare, ballare e pregare con noi. Alle donne delle piccole comunità cristiane, che accompagniamo una volta a settimana, in qualunque casa ci si incontri per la preghiera, inclusa, appunto, la nostra. Al gruppetto dei giovani aspiranti missionari, che vengono la domenica per imparare, giocando, i valori dell’essere missionario, nello stile di San Daniele Comboni.

Siamo Laici Missionari Comboniani, forse è per questo che siamo finiti qui, in questo luogo un po’ abbandonato, di prima evangelizzazione, dove le pratiche tradizionali, religiose e culturali, ancora si affiancano e resistono all’ondata della cosiddetta “modernità”: sì, manderò i miei figli a scuola, ma uno o due li tengo a casa, perché devono star dietro alle mucche, alle capre…la nostra ricchezza più grande. La pastorizia, cuore di un sistema economico e sociale. Anche mia figlia sì, magari la mando a scuola, ma a 15 anni è ora di darla in sposa a qualcuno che abbia tante mucche da darci come dote. È un diritto-dovere sociale, e una garanzia che si occuperà per sempre con fedeltà di mia figlia, anche se poi, come è normale che sia, troverà una seconda o una terza moglie. E mia figlia ne sarà
onorata, perché un marito con tante mogli è uomo di prestigio!

Intanto, in città, a Kacheliba, si va a Messa ma poi anche dallo stregone a invocare la pioggia… (D’altronde, in altre parti del mondo si va a Messa e poi a leggere l’oroscopo…)
E poi alcune cose vanno proprio fatte… per esempio se non sei circonciso o circoncisa, non sei un vero uomo, o una vera donna. Se il capo del villaggio (affiliato al governo) viene a proibirci queste pratiche, lo minacciamo di rivolgerci, di nuovo, a uno stregone/a, e così continuiamo, più o meno in segreto, a difendere ciò in cui crediamo. Però poi ci troviamo tutti intorno a uno schermo a tifare Arsenal o Manchester United appena c’è una partita. E ci fiondiamo al negozio delle scommesse per vedere se vinciamo qualcosa.
A scuola ascoltiamo gli insegnanti, che ci esortano a rifiutare la circoncisione femminile, per i gravi danni che può causare, e praticare quella maschile in ospedale in modo sicuro. E questi Laici Comboniani, che ci insegnano “Life skills”, ci aiutano a riflettere su come prendere le nostre decisioni per avere il controllo sulla nostra vita, cercando vie nuove senza per questo dover rinnegare la nostra cultura, capire cosa davvero ci può aiutare ad avere una vita migliore, come curarci di noi stessi, come gestire affettività e sessualità, renderci conto dei nostri diritti e doveri rispetto agli altri, come costruire una famiglia solida e funzionale, e un futuro migliore per noi e per la nostra società.

Ecco la realtà in cui la nostra comunità di Laici comboniani – composta, oltre a Marzena, da Pius (ugandese) e me (Linda) – da due anni si trova con gioia, e grande sforzo, ad operare. Forse si sono capite le sfide che dobbiamo affrontare, scoprendo ogni giorno qualcosa in più su questa cultura forte, resiliente, che però invitiamo ad aprirsi, a rinnovarsi, per potersi migliorare. Lo facciamo attraverso le menzionate attività di insegnamento di Life skills in tre scuole secondarie (Pius e Linda), l’attività di fisioterapia di Marzena in dispensario con bambini con disabilità, e altre emergenze varie, e con le mamme incinte nella vicina Kacheliba. E poi, con un programma di teacher training per le scuole primarie, e con le varie attività pastorali (catechismo, incontri settimanali con gli studenti delle scuole primarie e secondarie, Sunday school coi bimbi piccoli la domenica, il gruppo dei piccoli missionari, le piccole comunità cristiane…).

Il resto lo lasciamo alla testimonianza, nostra e delle tante persone che già sono venute a trovare la nostra comunità. Perché forse, di tutto quello che facciamo, sono le cose piccole che alla fine contano, come Pius, uomo e africano, che pulisce il corridoio/veranda di casa nostra, e cucina per gli ospiti. E gli ospiti, e la gente che passa, lo vede e si stupisce: anche questo è possibile, un uomo che fa i lavori di casa!
Non mancano, d’altra parte, gli aspetti in cui siamo noi ad imparare, a partire dalla Fede delle persone che accompagniamo, la loro resilienza, la capacità di sopravvivere in un contesto per noi così difficile, e tanto altro ancora. Perché missione è sempre scambio, un imparare e maturare a vicenda.

Di lavoro, ce n’è tanto da fare, ma siamo contenti di come abbiamo posto le basi della nostra piccola, solida comunità, che, ben accolta, sta mettendo radici, creando legami, crescendo con le persone, dove il camminare insieme, e lo scambio (culturale e di Fede) sono consolazione, incoraggiamento e sostegno per il germogliare di frutti nuovi, materiali e spirituali, sia in noi che in loro!
Ecco, per noi, la nostra missione!

Linda, LMC

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