Spero che il vostro cammino sinodale sia a buon punto!
Siamo giunti alla nostra 6° tappa!
Mi colpisce sul vivo, per quelle situazioni che spesso si vivono e animano le nostre realtà di chiesa.
Oggi parliamo di e con FRANCHEZZA, o parresia! Lo hanno fatto per noi Maura Bertini e Giovanni Agostoni in “Dal basso, insieme”. 10 passi per una Chiesa sinodale, ed InDialogo, 2021.
La cultura greca antica ci consegna un significato interessante: diritto-dovere del cittadino di intervenire in un’assemblea pubblica.
Meraviglia di franchezza mostrata da Pietro e Giovanni davanti al sinedrio nel racconto di Atti 4: potenza dello Spirito che dà coraggio di intervenire per testimoniare la fede; convinzione nata dall’esperienza condivisa con Gesù. Questa “parresia” è dono della profezia! Il coraggio di parlare apertamente e dire le cose come stanno: un dono!
Detto così pare anche semplice, ma dobbiamo pensare che in certe situazioni non è per niente facile parlare ed esporsi, soprattutto quando c’è qualcosa che non va.
La domanda è sempre la stessa: parlo o taccio? Se apro bocca e rilevo un problema, due sono le possibilità: o tocca a me trovare la soluzione e impegnarmi oppure mi dicono che sono lamentosa e critica; se taccio, facendo finta di niente, il problema resta indiscusso e insoluto, probabilmente si ripresenterà comunque….
Il “profeta” è chiamato a annunciare la Parola, a scorgere il Bene possibile, a seminare speranza, indicare le storture, richiamare alle responsabilità e all’agire, in nome di Dio e del Vangelo oggi!
Si può/si deve agire e parlare per il bene della comunità in cui si vive!
Se poi si apre un confronto, emergono posizioni diverse, ci si ascolta e insieme si trovano vie risolutive in un discernimento comunitario. Occorre un “confronto trasparente”, che è l’opposto della chiacchiera o lamentela e dell’indifferenza.
“La franchezza è un dono dello Spirito e una responsabilità”. Dovrebbe essere lo stile della vita comunitaria dove ci si prende cura delle relazioni: è elemento essenziale della cura sinodale, ricordano Maura e Giovanni. La franchezza si lega a doppio filo con “responsabilità”: verso noi stessi e la nostra vocazione, verso gli altri (amore reciproco)
Dove c’è franchezza, si riduce rischio di fraintendimenti, ambiguità, cresce la stima e le relazioni sono significative.
Un bel cartello con “pericolo”! franchezza “non è scagliare parole come pietre”, occorre empatia, sensibilità, conoscenza dell’altro, considerarsi pari, misurare tono e termini frenando la lingua per non eccedere nel colpire o criticare in modo negativo e distruttivo. Non bisogna rinunciare, però, frenati da un certo “clericalismo”: tanto decide il prete, io laico sto zitto…. L’autoritarismo e la remissività non vanno bene entrambi.
Mi pare un bel suggerimento, applicabile in ogni ambito della vita, non solo quello ecclesiale: se c’è un certo tipo di rapporto, credo ci si possa dire tutto, in famiglia, sul lavoro, fra amici, in parrocchia.
Questo spunto mi interpella sullo stile delle relazioni che vivo!!
Io come parlo agli altri? Li attacco? So dosare le parole? Critico e basta o sono capace di suggerimenti propositivi? So quando è il momento di tacere e di parlare con coraggio?
Da ciascuno di noi dipende “la creatività pastorale”, se c’è cura delle relazioni, se c’è franchezza, se c’è un apporto originale e sincero, se c’è rispetto reciproco.
Anche il papa ci invita ad essere “audaci e creativi” (EG 33).
Mettiamoci nei panni della Maddalena al mattino di Pasqua (ci suggeriscono gli autori): se non avesse avuto il coraggio di andare, vedere, annunciare…..cosa sarebbe mancato??
Due sono gli atteggiamenti che impariamo oggi per uno stile sinodale, suggeriti da papa Francesco ai vescovi: dire tutto quello che nel Signore ci si sente di dover dire, nei dovuti modi; ascoltare umilmente e accogliere con cuore aperto ciò che i fratelli esprimono
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