Presepe
di Federico Barocci o Baroccio detto il Fiori (1535-1612) (replica di)
circa 1599
Olio su tela
© Pinacoteca Ambrosiana
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Giuseppe lo indica bene ai pastori che si affacciano alla porta: la luce viene da lì, da quel bambino appena nato, adagiato in una culla improvvisata, tra la paglia di una mangiatoia. Il neonato accenna un sorriso alla mamma, la quale risponde con tenerezza, con le braccia distese e le mani aperte. Forse ancora Maria non ci crede: si è infine realizzato ciò che quel giorno le aveva detto l’angelo. Sembra arrendersi, affidarsi, meravigliarsi di fronte a questa luce che la investe, che illumina di bagliori il suo abito e le arrossisce le guance.
Federico Barocci sapeva fare molto bene il suo mestiere. Era marchigiano e aveva studiato a Roma, nella Roma dei grandi papi mecenati, dove Raffaello e Michelangelo avevano appena lasciato opere che avrebbero estasiato il mondo per i secoli a venire.
Ma nella seconda metà del Cinquecento i tempi stavano già cambiando: la Riforma protestante e la Controriforma stavano muovendo nel profondo la chiesa cattolica e, necessariamente, la produzione artistica. Servivano opere “honeste e devote”, di immediata comprensibilità, senza eccessi manieristici.
Barocci seppe interpretare molto bene lo spirito del suo tempo, con uno stile capace di essere sia delicato, che animato. Tanto che il cardinale Federico Borromeo volle una sua opera per la propria collezione: questo “Presepe” divenne “una delle più care cose che io mi abbia”.
Fortunatamente anche noi oggi possiamo ammirarla alla Pinacoteca Ambrosiana.
Ilaria Cremona
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