“Chi si ferma è perduto” diceva un vecchio proverbio.
Parole strane oggi, epoca in cui si riscopre l’elogio della lentezza, della decrescita, del non occupare ogni istante con azioni da fare.
O forse no: questa è anche l’epoca in cui ogni momento è da riempire con qualcosa, ogni giornata ha un ritmo pressante, ogni incontro ha il sapore del “mordi e fuggi”.
Difficile equilibrare bene queste due tensioni, ma forse l’importante è che sia nella calma sia nella piena attività l’atteggiamento sia quello della “ricerca”.
La ricerca dice il bisogno di esistere con un significato, dice la coscienza di una ‘mancanza’, il desiderare il proprio compimento. E questo richiede mettere in gioco un po’
di intelligenza (la capacità di pensare) e un po’ di coraggio (le paure fanno stare fermi sul già noto, sul già dato).
Mino Conte – docente di Filosofia dell’Educazione – espone bene questo concetto:
Pensare, riflettere, far buon uso della ragione e delle proprie facoltà mentali non vuol dire pronunciare un “no” metodico, secco e preventivo. Al di là dei “sì” e dei “no”, la mente critica è una mente che mette in questione, che interroga e re- interroga incessantemente il già dato perché non lo ritiene mai definitivo e indiscutibile. E’ una mente che apre e ri-apre i discorsi che vogliono chiudersi.
In fondo già Agostino – tanti secoli fa – parlando di Dio ribadiva questa ‘sete’ di conoscenza che il nostro io più profondo ha, un desiderio di sapere che spazia dal voler
comprendere il mondo che ci circonda, ma anche il cuore delle persone, fino a cogliere l’essenza del divino:
“Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te“.
Giovanna Riboldi
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