Giovanni 15, 12-17
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.
Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal
Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
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Passo, questo, fondamentale all’interno del Vangelo di Giovanni: passo scelto da molte coppie quale lettura da proclamare dentro la celebrazione del loro Matrimonio. Fu così anche per Chiara e per me qualche…anno fa. Sentivamo che queste parole di Gesù, rivolte ai suoi discepoli come testamento spirituale nell’Ultima Cena, erano le parole giuste per il nostro progetto di vita insieme. In realtà sono parole che non si applicano solo agli sposi, ma possono stare alla base del progetto di vita di ogni cristiano, qualunque sia la sua vocazione, sono parole donate ai discepoli di Gesù di ogni tempo.
Gesù ci consegna un criterio oggettivo per valutare il nostro rapporto di discepoli con lui e con il Padre: vivere l’amore concreto con gli altri a partire da chi ci sta accanto ogni giorno.
Solo mettendoci a servizio degli altri, facendo il bene agli altri, solo spendendo la vita per gli altri, noi possiamo dimorare nell’amore di Gesù. Senza questo amore concreto non c’è possibilità di una relazione autentica con Gesù e neppure con il Padre, ma esiste solo l’illusione di una relazione immaginaria.
“Ma vi ho chiamati amici...”: bellissima espressione di Gesù! Siamo chiamati a diventare suoi amici conoscendo il suo amore per noi. Così commenta padre Silvano Fausti: ”Gli amici sono pari tra di loro. Noi siamo chiamati a diventare uguali a Dio. Perché? Perché l’amore che il Padre ha per il Figlio, il Figlio l’ha dato a noi e noi possiamo amare con lo stesso amore di Dio e diventiamo come Dio che è amore. Quindi siamo amici, pari a pari”.
Spesso viviamo anche la religiosità con l’atteggiamento del servo: nella vita da servi al centro del rapporto con il padrone c’è l’ordine da eseguire del quale non importa sapere se è giusto o sbagliato. In fondo essere “servi” è più facile perché non comporta altro che eseguire un ordine senza il coinvolgimento del cuore e della mente. Ma Gesù ci vuole amici, non servi, e vuole che i suoi amici conoscano e condividano con Lui prima di tutto il cuore: questo significa che il legame con Lui non si può risolvere in qualche pratica religiosa, ma deve diventare un vero legame d’amore. E, indirettamente, il suo è anche un invito a stare accanto a Lui, nella Chiesa, non solo come praticanti ma piuttosto come credenti corresponsabili e pensanti.
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