Lc 6, 20a. 24-26
In quel tempo. Il Signore Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e
piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
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Siamo nell’ambito del “discorso della montagna” che nella versione di Luca presenta solo 4 beatitudini (rispetto alle 9 citate da Matteo) e in luogo pianeggiante.
Parto dal gesto: Gesù ha davanti a sé una moltitudine, una folla sterminata che si è radunata per ascoltarlo, vederlo, forse toccarlo, e Lui alza gli occhi e li abbraccia con lo sguardo. Si tratta di persone assai diverse fra loro, di differente estrazione sociale e proveniente “da tutta la Giudea, da Gerusalemme, e dal litorale di Tiro e di Sidone, diceva ieri il vangelo.
Luca riporta, oltre alle quattro beatitudini, la presenza di quattro “guai” : il contrario di essere beato è essere nei guai, inteso come l’essere talmente impastati con la logica
meramente umana da finire determinati da essa. Mi sovviene la definizione di “felicità a breve termine”, ovvero una logica secondo la quale è sufficiente ciò che la vita concede in termini di ricchezza, pancia piena, successo, potere, riconoscimento.
Credo che Gesù non intenda condannare queste cose in sé, bensì il fatto che si possa costruire su di esse la certezza per la quale vivere che, alla fine, coincide con accontentarsi e pretendere… No, non è un ossimoro! Infatti, scegliere di accontentarsi di quanto confinato nella categoria del solo umanamente desiderabile e fruibile, cancellando dall’orizzonte ciò di cui profondamente siamo fatti, fa scattare la pretesa, partorita dall’insoddisfazione. Non basta mai ciò che si ha, perché la domanda autentica che bisogna porsi è “Di cosa è mancanza questa mancanza?”
“L’uomo non vive delle cose ma del senso in esse racchiuso” (don Marco Pozza). Se siamo onesti scopriremo che il compimento è in Cristo, nel rapporto con Lui, che ci conduce a vivere la nostra quotidianità dando il giusto peso alle cose del mondo, per camminarci e viverlo senza appartenergli.
Scorre la vita e i nostri giorni volgono alla fine.
Fin che c’è dato tempo
leviamoci a dar lode a Cristo Signore.
Teniamo accese le lampade
perché il Giudice dell’universo
sta per giudicare tutte le genti.
(dalla Liturgia)
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