Mc 6, 1-5
Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”.
Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
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Questa pagina di Vangelo racconta il ritorno di Gesù a Nazareth, lì dove era cresciuto e aveva vissuto gran parte della sua vita, lì dove ci si aspetterebbe di più che la sua parola fosse ascoltata. Invece questo non avviene, perché Egli si trova a dover affrontare la difficoltà grande che gli uomini hanno ad accettare che Dio si sia fatto uomo, umile.
Quante volte capita anche a noi, come probabilmente è successo ai nazareni, di farci un’idea di Dio che risponda, a nostro modo, a quelle che pensiamo siano le nostre necessità e poi, quando queste non vengono soddisfatte, ci arrabbiamo con Lui. La nostra superbia ci offusca la vista della verità e non ci permette di fidarci veramente di Dio e di quello che Lui sa che sia il bene per noi, perché non ci mettiamo in relazione con Lui, ma pretendiamo di incontrare un dio che noi ci siamo costruiti.
Un’ulteriore riflessione riguarda il fatto che Gesù non viene accettato proprio lì dove, per logica, dovrebbero volergli tutti bene, dovrebbe sentirsi a casa, senza nessuno che
dubita di Lui.
Quante volte, nelle nostre comunità viene messo in atto, nei confronti degli altri, un comportamento simile a quello dei nazareni, pieno di dubbi, diffidenza, e, forse, anche invidia e malelingue, che offuscano la realtà e non permettono di vedere il bello che l’altro può portare, anche nella mia esperienza.
La superbia non ci permette di metterci in ascolto e di oltrepassare alcuni dei nostri pregiudizi. Rischiamo così di perdere l’occasione di poter portare l’amore insegnatoci da Gesù già nel nostro piccolo, nella nostra comunità, al lavoro.
Allora chiediamo al Signore di aiutarci ad essere umili, pronti ad accettare l’altro senza pregiudizi e senza la superbia di pensare di sapere già tutto e di essere pronti ad affidarci ogni giorno a Lui, senza voler decidere noi chi è il Signore e cosa deve fare per noi.
“Gesù, io voglio essere umile come Te, umile come Dio”
(Papa Francesco, udienza generale del 30 dicembre 2015)
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