Mc 6 6b-13
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri.
E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: “Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non
vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”.
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
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Mi colpisce molto, in questo brano del vangelo di Marco, la richiesta di Gesù ai discepoli di andare in missione con nient’altro che un bastone. Nel Vangelo di Matteo, viene raccontato lo stesso
episodio in questo modo: “Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento” (Mt 10, 9-10). La vedo un po’ come un invito di Gesù ai discepoli a non preoccuparsi di procurarsi ciò di cui pensano di aver bisogno, perché Dio stesso è con loro e non avranno
davvero bisogno di nient’altro.
Questa è una richiesta radicale di Gesù, che presuppone un abbandono totale a Lui. Chi partirebbe oggi per un viaggio senza nulla, senza una valigia, uno zaino, una semplice borsa per portare “l’essenziale”. Eppure, quella fatta ai discepoli, è una proposta che Gesù fa anche ad ognuno di noi, chiedendoci di non preoccuparci di dover raccogliere ciò che riteniamo “essenziale” perché sarà Lui a darci tutto quello di cui avremo bisogno.
Questo può essere spaventoso inizialmente, perché predisporsi all’abbandono totale a Dio richiede davvero un gran balzo di fiducia. Allo stesso tempo, però, ci permette di metterci completamente in gioco nella relazione con Lui, rispondendo anche a quella “sete di radicalità” (di cui parlò anche S. Giovanni Paolo II) che percepiamo nel desiderare che la nostra vita sia piena, felice, gioiosa, vera. Dio non ci chiede di essere perfetti neanche nell’abbandono a Lui, anzi, continua a venirci incontro, ancora una volta proprio lì, nelle nostre fragilità (ad esempio, mettendo accanto ad ognuno un compagno: “prese a mandarli a due a due”).
Abbandonarsi a Dio chiede di confermare ogni giorno un sì detto a Lui e alla sua promessa di felicità per noi, sentendosi sempre amati anche nell’errore, forti nelle insicurezze e nelle paure, custoditi e guidati nella confusione, perché il Signore è dalla nostra parte, nostro alleato.
Allora possiamo chiederci quest’oggi: io ho detto quel sì all’abbandono all’amore del Signore, senza “tuniche di riserva” senza volere una sorte di “paracadute d’emergenza” perché pensiamo “Sì Gesù, io mi fido ma non si sa mai…”? E rinnovo quel sì ogni giorno, anche nella fatica, nella paura, nella confusione, nell’errore, consapevole che solo guardando a Lui posso trovare la vera pienezza?
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Dal Salmo 27
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