Una parte del dibattuto pubblico, davanti al catastrofico peggiorare della crisi climatica e ambientale, prova a capire come contrastarla, partendo da azioni quotidiane e da scelte politiche. Negli ultimi mesi, soprattutto in Italia, la domanda sulle decisioni politiche ha risuonato ancora più forte: a detta dei
movimenti ambientalisti, quelle dello scorso settembre sono state “le ennesime elezioni in cui quasi tutta la politica si è divisa tra chi ha ignorato la crisi climatica e chi ha finto di affrontarla”.
Forse una delle poche opportunità che abbiamo come cittadine e cittadini per rompere questo negativo e pericoloso circolo vizioso è la partecipazione: prendere parte a manifestazioni, per esempio, permette sia di mostrare il proprio dissenso, sia esprimere le proprie idee e i propri valori.
Proprio per questo motivo, lo sciopero per il Clima dello scorso 23 settembre – proprio alla vigilia delle elezioni- ha avuto nel nostro Paese una valenza e un’importanza ulteriori. Infatti lo scorso sciopero per il Clima è stato il culmine di un percorso ben preciso intrapreso da Fridays for future, da altre realtà e movimenti che può essere definito come “una politicizzazione senza diventare partito”. Un percorso che ha trovato la sua forma nell’Agenda Climatica redatta dal movimento ambientalista che rappresenta la risposta concreta e tangibile a chi chiede, spesso in modo provocatorio, cosa voglia chiedere Fridays for Future alle istituzioni.
L’ Agenda Climatica è composta da cinque punti – trasporti, mobilità, lavoro, acqua e povertà energetica – collegati dal filo conduttore della partecipazione attiva e della rappresentanza alle decisioni politiche.
E’ evidente che l’esigenza di politiche istituzionali significative non ha in alcun modo trovato risposta nei programmi elettorali di gran parte dei partiti
presentatasi alle elezioni: da una parte ci sono partiti che mascherano il disinteresse verso la crisi climatica in proposte spesso superficiali e inattuabili, dall’altra le possibili soluzioni alla crisi climatica non sono neppure citate e prese in considerazione.
E’ proprio davanti allo sconforto, all’amarezza e alla rabbia verso una politica spesso disinteressata dell’ imminente e urgente problematica della crisi ambientale che parte della popolazione sente l’esigenza di scendere in piazza.
“Se non prendiamo posizione, chi lo farà al posto nostro?” è la domanda che risuona nelle menti di tante persone- giovani e adulte- che hanno scelto di prendere parte alle manifestazioni per il Clima. Mobilitarsi in difesa di una causa comune, da un lato rafforza il consenso sociale intorno alla necessità di reagire alla crisi climatica, dall’ altra fa riscoprire il potere dell’azione collettiva come strumento contestatore ma anche, e forse soprattutto, come strumento propositivo.
Così in una sessantina di città italiane le manifestazioni dello scorso 23 settembre si sono snodate con cortei numerosi, colorati e pacifici; studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori, hanno portato in piazza le loro rivendicazioni e le loro idee per un presente più sostenibile, equo e giusto.
Nel frattempo, oltre che per lo Sciopero per il Clima, quest’ultimo mese è stato anche caratterizzato da alcune azioni di protesta di alcuni movimenti ambientalisti che hanno avuto un importante impatto mediatico; parlo della zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh e del purè di patate sul Pagliaio di Claude Monet. Queste azioni sono state considerate- a mio avviso erroneamente- dalla maggior parte dei social media e giornali, insensate, scellerate e “fesserie giovanili”.
Fermandoci su queste opinioni superficiali si rischia di non comprendere adeguatamente le ragioni che muovono queste proteste. Come ha sottolineato la stessa Phoebe Plummer, l’ attivista di Just Stop Oil che ha imbrattato con della zuppa di pomodoro il celebre quadro di Van Gogh, il dipinto era protetto da una lastra di vetro che ha permesso di pulirlo con facilità. Le attiviste in questione erano perfettamente consapevoli, infatti, che non avrebbero potuto rovinare il prezioso dipinto; la loro volontà era quella di sfruttarlo per attirare l’ attenzione popolare e delle istituzioni sulla più grande crisi del nostro secolo.
Le domande che le attiviste hanno fatto alla folla che, stupita, le osservava sono state: vale di più l’arte o la vita? Siete più preoccupati per la protezione di un quadro che di quella del Pianeta? Infatti, se da un lato entrambi i quadri siano stati puliti velocemente e senza difficoltà, dall’ altro le condizioni climatiche, ecosistemiche e quindi anche sociali nel nostro Pianeta peggiorano sempre di più e a causa della mancanza di azioni rilevanti e radicali il declino verso il punto di non ritorno è sempre più veloce ed è proprio su questo, a mio avviso, che dobbiamo porre la nostra attenzione.
Gaia Sironi
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