Qualche anno fa scattai questa foto.
È il giardinetto di fronte a casa mia. Aveva nevicato ormai da qualche giorno e quel che rimaneva del candido manto innevato era un miscuglio di ghiaccio, terra e fango per lo più informe. Non c’è niente di bello in questa immagine. Niente che varrebbe la pena fotografare. La neve normalmente si contempla appena scesa, quando l’incanto del suo candore ricopre ogni cosa ammantandola di bellezza. Un giardino attira il nostro sguardo in primavera, quando tutto è rigoglioso ed esplode di vita.
Eppure, a ben vedere, la maggior parte del tempo la natura rimane spoglia, imperfetta, brutta. Nel mezzo di un non più e un non ancora.
E guardandola così, viene da pensare al passato, ricordando com’era, o anticipare il futuro, immaginando come sarà. Difficilmente ci si sofferma a contemplarla, ammirarla, fotografarla in queste condizioni.
Eppure, se domani sarà rigogliosa e bella, se ci perderemo a gustare i suoi colori, i suoi profumi, il suo splendore, è perché è passata attraverso questo tempo. Un tempo che appare incompiuto, brullo, perso, che si salterebbe volentieri, se fosse possibile… ma è quanto mai fecondo e necessario.
Per cogliere la verità di ciò che appare brutto e informe bisogna andare in profondità, bisogna guardare sotto terra. Dove si ripete il miracolo della vita, dove il seme muore perché la vita possa rinascere.
Gabriele
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