Ricordi della prima esperienza nella missione Holy family catholic Centre a Ban Pong, nord della Thailandia.
Mi trovavo a camminare nei campi che facevano da contorno la missione Holy Family Catholic Centre, affidata ai padri betharramiti, a Ban Pong, nel nord della Thailandia, situata a pochi chilometri di distanza dal confine della Birmania. Quella missione era stata per due settimane casa.
Era metà pomeriggio e il sole, ancora molto alto, stava lassù nel cielo limpido. Camminavo e mi guardavo attorno; in quel momento ero solo, davanti a me da un a parte campi coltivati che si perdevano all’orizzonte, dall’altra il bosco e sullo sfondo le montagne di confine. Mi fermavo, chiudevo gli occhi e quel silenzio si tramutava nelle grida di saluto dei bimbi e tutti coloro che animavano e vivevano la missione e con cui avevo vissuto quella prima esperienza missionaria nel sud-est asiatico. Era l’ultimo pomeriggio in terra thailandese, nella terra del sorriso e mancava poco all’inizio del lungo viaggio di ritorno “a casa”.
Avevo una sensazione strana un misto di gioia e tristezza, sorridevo, ma allo stesso tempo sentivo alcune lacrime che mi segnavano il volto.
Ma qualcosa in lontananza mi fa tornare di colpo alla realtà, sento dei rumori e guardo l’orologio. I bambini stanno tornando da scuola, le voci, le grida, le risa si avvicinano ed eccoli che spuntano sulla strada oltre la siepe, rigorosamente in fila: corrono felici nel giardino ad abbracciare gli ospiti e a giocare fino a suona la campana. Eh si quella “campana” che segna la quotidianità della missione. Quella campana che non è altro che un ferro vecchio rotondo appeso all’ingresso.
Suona la campana, insieme al canto del gallo e alle voci dei bambini, quando il sole timidamente si affaccia dietro gli alberi, per richiamare tutti in chiesa per la messa quotidiana prima di cominciare la giornata. Un po’ infreddoliti noi occidentali, tanto calorosi già di prima mattina i piccoli. Entrano nella cappella quasi in una “confusione ordinata”. Ognuno ha il suo posto per terra, con un piccolo cuscino: qualche sbadiglio, qualcuno si stropiccia gli occhi dal sonno e ad altri la testa ciondola un poco, ma l’attenzione c’è e anche la voce per cantare tutti insieme: fuori dall’ingresso, in modo ordinato, sono disposte tutte le ciabatte di tante misure… le uniche fuori posto sono un numero 44: le mie!
Suona la campana per la colazione, i bambini si ritrovano tutti all’esterno del salone polivalente posto al centro della missione, intanto le ragazze più grandi preparano i tavoli, sistemano i piatti e predispongono la colazione per tutti i 75 bambini: riso, carne, verdure e non può mancare l’immancabile peperoncino.
Suona la campana ed è l’ora di andare a scuola! Dopo aver preso la propria merenda per la giornata: in base all’età si dispongono in fila sul vialetto di ingresso della missione e, sotto lo sguardo premuroso e paterno dei missionari, accompagnati da alcune delle ragazze più grandi, si dirigono verso la scuola che dista a poco più di due chilometri. C’è chi canta, chi ride, chi scherza, chi mangia, chi raccoglie fiori, è semplicemente uno spettacolo vederli. Davanti a noi il sole sorge e pian piano anche l’aria frizzantina della prima mattina lascia spazio ad altre temperature… La scuola si trova oltre la grande strada che collega il nord con il sud del paese, fino ad arrivare al confine con il Myanmar. I bambini entrano nel cortile della grande scuola, mi fermo ad osservarli dall’altro del ponte che attraversa la strada e loro, dal basso, alzano lo sguardo e chi in thai, chi in inglese, chi con un ottimo “ciao” ti salutano, sempre con il sorriso mentre si avviano in classe.
La mattina passa veloce, al centro regna la quiete, le ragazze lavorano e studiano alla scuola di cucito, altre ricamano, altre, le più grandi, preparano le attività per la serata o i giorni successivi.
Suona la campana a metà pomeriggio, segna il ritorno dei bambini dalla scuola, è l’ora della doccia, sempre aiutati dalla ragazze più grandi, il centro si rianima, e la quiete della mattina è solo un ricordo.
I bambini corrono, giocano, si divertono, scrivono, disegnano fino all’ora di cena e qui come una bella liturgia si riuniscono tutti, di nuovo, nel grande salone per mangiare insieme.
In serata ci sono i compiti, nei weekend o in giorni particolari si guarda un film o momenti di divertimento.
Suona la campana in ogni villaggio vicino o lontano alla missione, in pianura o sui monti, dopo aver macinato chilometri di asfalto o terra su strada tortuose e non sempre “sicure” . Suona la campana per annunciare l’arrivo del missionario, e in alcune occasioni anche per l’arrivo di “amici che vengono da lontano”: la gente accorre dalle proprie abitazioni e si mette in fila per salutare ciascun nuovo arrivato, poi uno ad uno, senza guardare l’orologio si mettono in attesa del proprio turno per la confessione all’interno della piccola cappella del villaggio e a seguire la celebrazione della messa. Alcuni di questi villaggi sono raggiungibili solamente due/tre volte l’anno, quando le condizioni stradali lo permettono.
Suona la campane e la partenza è vicina, occorre chiudere le valige; cosa porto con me?
Porto ogni attimo vissuto, tutto d’un tratto si è riempita velocemente di quel calore, unico, che è tipico di una famiglia, dove si è accolti, in cui la giornata viene condivisa in ogni singolo istante.
Porto l’ammirazione verso coloro che mi hanno accolto; non posso dimenticare la loro gioia nell’essere accolto, il loro modo così discreto e gentile che tutto fosse a posto per l’ “ospite” venuto da lontano, anche se ero uno di famiglia. Ero uno straniero eppure ho ricevuto ospitalità, attenzione, cura, fiducia, rispetto: tutto questo mi è stato semplicemente donato.
Porto con tutte le mani strette, i racconti di vita, le storie di semplice persone che nel corso di questi anni hanno intrecciato la loro esistenza con quella della presenza dei missionari.
Porto con me missioni che, nonostante la fatica dei tempi di oggi, continuano a mantenere le loro porte aperte, sempre pronte ad accogliere e aiutare chi più ha bisogno.
Soprattutto porto con me ogni istante trascorso con i più piccoli, vera ricarica per qualsiasi vita, vera “acqua che disseta”.
Porto con me, infine, l’alba e il tramonto ammirati durante quei giorni, la vista delle nuvole che sembravano giocare con le loro forme strane e i primi raggi del sole che faceva capolino all’orizzonte che cercavano di farsi “largo” nel buio della notte.
Porto con me la gioia di aver ri-scoperto una fede vissuta in modo semplice e autentica, diventata, fino a quel momento, da parte mia, come una sorta di “abitudine” e non più vissuta come l’incontro con il Signore.
L’ultima sera, la luna piena attorniata dalle stelle illumina il cielo, le valige sono già state caricate in macchina, tutti cantano, fanno regali, qualcuno di loro piange: non riesco a salire in macchina, cerco di stringere ogni singola manina, di incrociare ogni sguardo, ogni sorriso.
Mi volto e vedo in lontananza la campana, silenziosa.
“Camminando si apprende la vita,
camminando si conoscono le persone,
camminando si sanano le ferite del giorno prima.
Cammina, guardando una stella, ascoltando una Voce,
seguendo le orme di altri passi”.
Oggi, proprio durante il mese missionario, mi ritrovo a ripercorrere con il pensiero e con il cuore quegli istanti, e, in questo modo, riabbracciare tutti coloro che mi hanno accolto e mi hanno preso per mano e accompagnato nella loro vita.
Giovanni Parolari
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