La bellezza è negli occhi di chi contempla

TUFFARSI

TUFFARSI

Piena estate: sulle rive del mare, blu e profondo, è facile scorgere qualcuno pronto a tuffarsi.
Un gesto che si compie con un guizzo rapido, ma che è preceduto da un tempo di attesa.
 
Cosa passa per la mente? Cosa presuppone questo atto?
Ci vuole energia, slancio, prima della mente, dell’anima che del corpo. 
Una sana incoscienza e un certo ardimento spingono a sporgersi dall’alto per guardare nell’ignota profondità e infinitudine.
 
Il mare è l’emblema dell’avventura, dell’ignoto e suscita un certo timore, ma affascina e, dai recessi del nostro essere, affiora un senso d’ebbrezza, la stessa di Ulisse e i suoi compagni, quella che anima l’uomo d’ogni tempo. Le profondità che attirano richiamano anche il liquido in cui tutti noi abbiamo beatamente galleggiato nel grembo materno.
Dunque ci si tuffa verso l’imponderabile e la primordiale beatitudine.
 
Per slanciarsi occorre nutrire una certa fiducia in sé stessi e in ciò che è altro. A ben vedere è una situazione che caratterizza il vissuto: siamo costantemente chiamati a decidere e agire.
Ogni vocazione, ogni scelta, da quelle esistenziali alle più semplici del quotidiano minuto, ci chiedono il coraggio di tuffarci.
 
Anche la pedagogia di Gesù, in fondo, lo prevedeva per sé e per i discepoli. Su quella collina, davanti a circa cinquemila persone affamate, a Filippo, Andrea e gli altri il Maestro aveva detto “Date voi stessi da mangiare!“. Aveva mandato a due a due i suoi senza bisaccia né tunica … “Buttatevi! Tuffatevi nel mare dell’umanità! Stateci immersi!”
Sembra di sentire il Signore lanciare questo invito a loro, a noi.
Anche lui – firmavit faciem suam- si è volto di slancio verso la sua Pasqua, atto supremo di donazione e di abbandono fiducioso.
 
Tuffarsi, preceduti da un brivido, spinti dall’ebbrezza, col desiderio di sentire in ogni fibra la freschezza, il vigore che si irradia … ed è vita!
 
Anna P.
 
 
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