La bellezza è negli occhi di chi contempla

Una responsabilità diffusa

Una responsabilità diffusa

Le gerarchie sono solo comode. Non so se sia un pensiero comune o scontato, ma è un pensiero che mi gira per la testa da qualche tempo. In quasi tutte le realtà che frequento o ho frequentato (oratorio, scout, soccorritori 112) si è optato per l’utilizzo massivo delle gerarchie. C’è sempre qualcuno che viene chiamato capo e che tira le fila, ha l’ultima parola, a cui tutti si rivolgono come se avesse le risposte o come se dovesse averle e di cui tutti – e con che soddisfazione – si possono lamentare.

Le gerarchie hanno due grandi problemi: solitudine e deresponsabilizzazione. Da una parte, il capo sviluppa un grande individualismo. Questo a sua volta può avere due conseguenze: alimenta un ego smisurato, per cui ogni problema ha una soluzione che sarà lui a tirare fuori dal cappello, oppure (ma anche allo stesso tempo) genera nel capo il senso di solitudine. Soli, al comando: non è mai una questione di potere ma di responsabilità, che gravano sulle fragili spalle di un unico individuo.

Dall’altra parte, i membri di una comunità si adagiano sulla gerarchia come su una comoda poltrona: si deresponsabilizzano. Non devo ricordarmi della palla: me la ricorderà il capo. Non devo arrivare con delle proposte: ci penserà il capo. Non devo trovare una soluzione a quel problema: la troverà il capo. Una comunità gerarchica crea in alcune persone la falsa idea che, in genere, tutto si risolve; può essere, ma ciò accade perché spesso alla fine della catena c’è un capo che, se desidera fare bene, risolve. 

Ma dov’è allora la Bella Notizia? Ho incontrato in questi mesi due comunità che provano a rompere la gerarchia: il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) e, più di recente, la Comunità Scout di Soviore. Queste due comunità hanno scelto di organizzare la vita comunitaria cercando (per quanto difficile) di creare una responsabilità diffusa. Ognuno ha il proprio incarico. Se ci sono difficoltà, si chiede aiuto alla comunità. Non c’è una persona da cui tutto deve passare. Credo che l’idea vincente sia proprio quella degli incarichi: scomporre la mole enorme di lavoro per un solo individuo, in lavori più gestibili da più persone. Sarebbe utile immaginare anche un incaricato che abbia il compito di ricordare agli altri di svolgere i propri incarichi. Per tutto ciò, il confronto è continuo e richiede tempo. 

La Bella Notizia è questa: la gioia di vivere tale genere di comunità, perché ci si sente davvero membri di una catena circolare, che sostiene, che coopera, senza anelli che debbano sempre tenere più degli altri. Si dirà che è solo utopia. È difficile, vero, non sempre funziona, a volte vorresti solo che qualcuno prendesse una – dannata – decisione… Magari si desidererebbe un uomo forte al comando… D’altronde, le gerarchie sono solo la risposta facile e veloce per chi non è in grado – o non ha voglia – di cooperare.

Andrea

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